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martedì 14 febbraio 2012

Risurrezione di Roma

«Se io guardo questa Roma così com’è sento il mio Ideale lontano come sono lontani i tempi nei quali i grandi santi e i grandi martiri illuminavano attorno a loro con l’eterna Luce persino le mura di questi monumenti che ancora s’ergono a testimoniare l’amore che univa i primi cristiani.
Con uno stridente contrasto il mondo con le sue sozzure e vanità ora lo domina nelle strade e più nei nascondigli delle case dov’è l’ira con ogni peccato ed agitazione.
E lo direi utopia il mio Ideale se non pensassi a Lui che pure vide un mondo come questo che lo circondava ed al colmo della sua vita parve travolto da ciò, vinto dal male.
Anch’Egli guardava a tutta questa folla che amava come Se stesso, Egli che Se l’era creata ed avrebbe voluto gettare i legami che la dovevano riunire a Lui, come figli a Padre, ed unire fratello a fratello.
Era sceso per ricomporre la famiglia: a far di tutti uno.
Ed invece, nonostante le sue Parole di Fuoco e di Verità che bruciavano il frascame delle vanità sotterranti l’Eterno che è nell’uomo e passa fra gli uomini, la gente, molta gente, pur comprendendo, non voleva capire e rimaneva con gli occhi spenti perché l’anima era oscura.
E tutto perché li aveva creati liberi.
Egli poteva, sceso dal Cielo in terra, risuscitarli tutti con uno sguardo. Ma doveva lasciare ad essi - fatti ad immagine di Dio -, lasciar la gioia della libera conquista del Cielo. Era in gioco l’Eternità e per l’Eternità intera essi avrebbero potuto vivere come figli di Dio, come Dio, creatori (per partecipazione d’Onnipotenza) della propria felicità.
Guardava il mondo così come lo vedo io, ma non dubitava.
Insaziato e triste per il tutto che correva alla rovina, riguardava pregando di notte il Cielo lassù ed il Cielo dentro di Sé, dove la Trinità viveva ed era l’Esser vero, il Tutto concreto, mentre fuori per le vie camminava la nullità che passa.
Ed anch’io faccio come Lui per non staccarmi dall’Eterno, dall’Increato, che è radice al creato e perciò la Vita del tutto, per credere alla vittoria finale della luce sulle tenebre.
Passo per Roma e non la voglio guardare. Guardo il mondo che è dentro di me e m’attacco a ciò che ha essere e valore. Mi faccio un tutt’uno con la Trinità che riposa nell’anima mia, illuminandola d’eterna Luce e riempiendola di tutto il Cielo popolato di santi e d’angeli, che, non asserviti a spazio ed a tempo, possono trovarsi raccolti tutti con i Tre in unità d’amore nel mio piccolo essere.
E prendo contatto col Fuoco che, invadendo tutta l’umanità mia donatami da Dio, mi fa altro Cristo, altro uomo-Dio per partecipazione, cosicché il mio umano si confonde col divino ed i miei occhi non sono più spenti, ma, attraverso la pupilla che è vuoto sull’anima, per il quale passa tutta la luce che è di dentro (se lascio viver Dio in me), guardo al mondo e alle cose; però non più io guardo, è Cristo che guarda in me e rivede ciechi da illuminare e muti da far parlare e storpi da far camminare. Ciechi alla visione di Dio dentro e fuori di loro. Muti alla Parola di Dio che pure parla in loro e potrebbe da essi esser trasmessa ai fratelli e risvegliarli alla Verità. Storpi immobilizzati, ignari della divina volontà che dal fondo del cuore li sprona al moto eterno che è l’eterno Amore dove trasmettendo Fuoco si viene incendiati.
Cosicché riaprendo gli occhi sul di fuori vedo l’umanità con l’occhio di Dio che tutto crede perché è Amore.
Vedo e scopro la mia stessa Luce negli altri, la Realtà vera di me, il mio vero io negli altri (magari sotterrato o segretamente camuffato per vergogna) e, ritrovato me stesso, mi riunisco a me risuscitandomi - Amore che è Vita - nel fratello.
Risuscitandovi Gesù, altro Cristo, altro uomo-Dio, manifestazione della bontà del Padre quaggiù, Occhio di Dio sull’umanità. Così prolungo il Cristo in me nel fratello e compongo una cellula viva e completa del Mistico Corpo di Cristo, cellula viva, focolare di Dio, che possiede il Fuoco da comunicare e con esso la Luce.
È Dio che di due fa uno, ponendoSi a terzo, come relazione di essi: Gesù fra noi.
Così l’amore circola e porta naturalmente (per la legge di comunione che v’è insita), come un fiume infuocato, ogni altra cosa che i due posseggono per rendere comuni i beni dello spirito e quelli materiali.
E ciò è testimonianza fattiva ed esterna d’un amore unitivo, il vero amore, quello della Trinità.
Allora veramente Cristo intero rivive in ambedue ed in ciascuno e fra noi.
Egli uomo-Dio con le manifestazioni più svariate umane intrise di divino, messe a servizio del fine eterno: Dio con l’interesse del Regno e - dominatore del tutto - dispensatore d’ogni bene a tutti i figli come Padre senza preferenze. *** E penso che, lasciando vivere Dio in me e lasciandoLo amarSi nei fratelli, scoprirebbe Se stesso in molti, e molti occhi s’illuminerebbero della sua Luce: segno tangibile che Egli vi regna.
Ed il Fuoco, distruttore del tutto a servizio dell’eterno Amore, si diffonderebbe in un baleno per Roma a risuscitarvi i cristiani ed a far di quest’epoca, fredda perché atea, l’epoca del Fuoco, l’epoca di Dio.
Ma occorre avere il coraggio di non badare ad altri mezzi, per suscitare un po’ di cristianesimo a far eco alle glorie passate - o di metterli almeno in sottordine.
Bisogna far rinascere Dio in noi, tenerLo vivo e traboccarLo sugli altri come fiotti di Vita e risuscitare i morti.
E tenerlo vivo fra noi amandoci (e per amarsi non occorre strepito: l’amore è morte a noi - e la morte è silenzio - e vita in Dio - e Dio è il silenzio che parla).
Allora tutto si rivoluziona: politica e arte, scuola e religione, vita privata e divertimento. Tutto.
Dio non è in noi come il Crocifisso che sta alle volte quasi amuleto su una parete d’un’aula scolastica. È in noi vivo - se Lo facciamo vivere - come legislatore d’ogni legge umana e divina, ché tutta è fattura sua. Ed Egli dall’intimo detta ogni cosa, ci insegna - Maestro eterno - l’eterno e il contingente ed a tutto dà valore.
Ma non capisce questo se non chi Lo lascia vivere in sé vivendo negli altri, ché la vita è amore e se non circola non vive.
Gesù va risuscitato nella città eterna ed immesso dovunque. È la Vita e la Vita completa. Non è solo un fatto religioso… [1] È questo separarLo dalla vita intera dell’uomo una pratica eresia dei tempi presenti, ed un asservire l’uomo a qualcosa che è meno di lui e relegare Dio, che è Padre, lontano dai figli. [2]
No, Egli è l’Uomo, l’uomo perfetto, che riassume in Sé tutti gli uomini ed ogni verità e spinta che essi possono sentire per elevarsi al proprio posto. E chi ha trovato quest’Uomo ha trovato la soluzione d’ogni problema umano e divino. Egli lo manifesta. Basta che Lo si ami.»

Il testo, composto da Chiara Lubich probabilmente di getto nell’ottobre del 1949, è stato pubblicato il 10 dello stesso mese sul giornale «La Via», diretto da Igino Giordani

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[1] Si pensa a volte che il Vangelo non risolva i problemi umani e che porti soltanto il Regno di Dio inteso in senso unicamente religioso. Ma non è così. Non è certo il Gesù storico o Lui in quanto Capo del Corpo mistico che risolve tutti i problemi. Lo fa Gesù-noi, Gesù-io, Gesù-tu… È Gesù nell’uomo, in quel dato uomo - quando la sua grazia è in lui -, che costruisce un ponte, fa una strada. Gesù è la personalità vera, più profonda, di ognuno. Ogni uomo (ogni cristiano), infatti, è più figlio di Dio (= altro Gesù) che figlio di suo padre. E come altro Cristo, membro del suo Corpo mistico, che ogni uomo porta un contributo suo tipico in tutti i campi: nella scienza, nell’arte, nella politica… È l’incarnazione che continua, incarnazione completa che riguarda tutti i Gesù del Corpo mistico di Cristo.

[2] L’uomo, in tutte le sue dimensioni e capacità umane - non va mortificato, ma elevato. Accanto ad una teologia rinnovata, «nuova» (basata sulla vita trinitaria vissuta nel Corpo mistico di Cristo), occorre anche una scienza nuova, una sociologia nuova, un’arte nuova, una politica nuova…: nuove perché di Cristo, rinnovate dal suo Spirito. Occorre aprire un nuovo umanesimo, dove veramente l’uomo è al centro, quest’uomo che è anzitutto Cristo, e Cristo negli uomini.
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