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sabato 1 dicembre 2012

I doveri del credente verso la sua città

L’intreccio degli impegni dell’«onesto cittadino» con quelli del «buon cristiano» letti attraverso la figura di San Massimo di Torino.

«[…] Il tono e la sostanza dei Sermoni suppongono un’accresciuta consapevolezza della responsabilità politica del Vescovo nelle specifiche circostanze storiche. Egli è “la vedetta” collocata nella città. Chi mai sono queste vedette, si chiede infatti Massimo nel Sermone 92, “se non i beatissimi Vescovi che, collocati per così dire su un’elevata rocca di sapienza per la difesa dei popoli, vedono da lontano i mali che sopraggiungono?”. E nel Sermone 89 il Vescovo di Torino illustra ai fedeli i suoi compiti, avvalendosi di un paragone singolare tra la funzione episcopale e quella delle api: “Come l’ape”, egli dice, i Vescovi “osservano la castità del corpo, porgono il cibo della vita celeste, usano il pungiglione della legge. Sono puri per santificare, dolci per ristorare, severi per punire”. Così san Massimo descrive il compito del Vescovo nel suo tempo.
In definitiva, l’analisi storica e letteraria dimostra una crescente consapevolezza della responsabilità politica dell’autorità ecclesiastica, in un contesto nel quale essa andava di fatto sostituendosi a quella civile. È questa infatti la linea di sviluppo del ministero del Vescovo nell’Italia nord–occidentale, a partire da Eusebio, che “come un monaco” abitava la sua Vercelli, fino a Massimo di Torino, posto “come sentinella” sulla rocca più alta della città.
È evidente che il contesto storico, culturale e sociale è oggi profondamente diverso.

Il contesto odierno è piuttosto quello disegnato dal mio venerato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, nell’Esortazione post–sinodale Ecclesia in Europa, là dove egli offre un’articolata analisi delle sfide e dei segni di speranza per la Chiesa in Europa oggi (6–22). In ogni caso, a parte le mutate condizioni, restano sempre validi i doveri del credente verso la sua città e la sua patria. L’intreccio degli impegni dell’“onesto cittadino” con quelli del “buon cristiano” non è affatto tramontato.
In conclusione, vorrei ricordare ciò che dice la Costituzione pastorale Gaudium et spes per illuminare uno dei più importanti aspetti dell’unità di vita del cristiano: la coerenza tra fede e comportamento, tra Vangelo e cultura. Il Concilio esorta i fedeli a “compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile, ma che cerchiamo quella futura, pensano di potere per questo trascurare i propri doveri terreni e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno” (n. 43).
Seguendo il magistero di san Massimo e di molti altri Padri, facciamo nostro l’auspicio del Concilio, che sempre di più i fedeli siano desiderosi di “esplicare tutte le loro attività terrene, unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio” (ibid.) e così al bene dell’umanità.»

Dalla Catechesi di Benedetto XVI all’Udienza Generale del 31 ottobre 2007

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