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mercoledì 27 febbraio 2013

La religione che viene dall'uomo

“Siamo in pieno modernismo. Non il modernismo ingenuo, aperto, aggressivo e battagliero dei tempi di Pio X, no, il modernismo d'oggi è più sottile, più camuffato, più penetrante e più ipocrita.
Non vuol sollevare un'altra tempesta, vuole che tutta la Chiesa si ritrovi modernista senza che se ne accorga. [...]
 

La tradizione è ammessa anche dal novello modernismo, ma conseguente alla Scrittura, originata dalla Scrittura e dal magistero, che in origine ebbe per oggetto solo la Scrittura. Il Cristo si salva nel modernismo ma non è Cristo storico; è un Cristo che la coscienza religiosa ha elaborato perché una figura umana, ben delineata e concreta, facesse da supporto ad esperienze religiose che non potevano essere espresse nella loro ricchezza e intensità per via di puri concetti razionali ed astratti. [...]
 

Così il Modernismo d'oggi salva tutto il Cristianesimo, i suoi dogmi e la sua organizzazione, ma lo svuota tutto e lo capovolge.
Non più una Religione che venga da Dio, ma una Religione che viene direttamente dall'uomo e indirettamente dal divino che è nell'uomo”.


Mons. Luigi Carlo Borromeo (1893-1975). Diario, 3 dicembre 1962.


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mercoledì 20 febbraio 2013

Un cuore che vede

L’umanizzazione del mondo non può essere promossa rinunciando, per il momento, a comportarsi in modo umano. Ad un mondo migliore si contribuisce soltanto facendo il bene adesso ed in prima persona

«L’attività caritativa cristiana deve essere indipendente da partiti ed ideologie. Non è un mezzo per cambiare il mondo in modo ideologico e non sta al servizio di strategie mondane, ma è attualizzazione qui ed ora dell’amore di cui l’uomo ha sempre bisogno.
 

Il tempo moderno, soprattutto a partire dall’Ottocento, è dominato da diverse varianti di una filosofia del progresso, la cui forma più radicale è il marxismo. Parte della strategia marxista è la teoria dell’impoverimento: chi in una situazione di potere ingiusto – essa sostiene – aiuta l’uomo con iniziative di carità, si pone di fatto a servizio di quel sistema di ingiustizia, facendolo apparire, almeno fino a un certo punto, sopportabile. Viene così frenato il potenziale rivoluzionario e quindi bloccato il rivolgimento verso un mondo migliore. Perciò la carità viene contestata ed attaccata come sistema di conservazione dello status quo.
In realtà, questa è una filosofia disumana. 

L’uomo che vive nel presente viene sacrificato al moloch del futuro – un futuro la cui effettiva realizzazione rimane almeno dubbia.
In verità, l’umanizzazione del mondo non può essere promossa rinunciando, per il momento, a comportarsi in modo umano. Ad un mondo migliore si contribuisce soltanto facendo il bene adesso ed in prima persona, con passione e ovunque ce ne sia la possibilità, indipendentemente da strategie e programmi di partito.
Il programma del cristiano – il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù – è «un cuore che vede». Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente. [...]»


Benedetto XVI – Deus caritas est, 31


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venerdì 15 febbraio 2013

Torquemada

L’inquisizione spagnola e la questione ebraica nella Spagna del XV secolo.

«Raramente chi parla dell’Inquisizione spagnola adotta il punto di partenza corretto, che e la questione ebraica in Spagna. II problema era antico: già in epoca romana l’Andalusia veniva chiamata “la seconda Palestina” per il gran numero di ebrei che vi si erano stabiliti fin da tempi antichissimi, seguendo i fenici. Si calcola che in epoca imperiale il venticinque per cento della popolazione andalusa fosse ebrea, con punte del trentatré per cento nelle grandi città come Siviglia e Cadice. Certi studiosi sostengono che una intera tribù d’Israele, la tribù di Giuda, si era trasferita in Andalusia.
Con il cristianesimo questi ebrei non si convertono; recentemente sono stati pubblicati i documenti completi del primo concilio nazionale nella storia della Chiesa, il concilio di Elvira agli inizi del IV secolo, dove si può dire che non si e parlato altro che degli ebrei andalusi.
 

Mille anni dopo, nel secolo XV, il problema si poneva in modo diverso. Molti ebrei si erano convertiti al cattolicesimo formando una classe di conversos che dominava l’economia, la cultura e talora anche le cariche ecclesiastiche, suscitando il rancore dei cattolici di origine non ebraica, che a poco a poco si vedevano sfuggire tutte le posizioni di potere.
Il rancore diventa violenza quando, in alcuni casi evidenti, gruppi di conversos rivelano chiaramente che la loro adesione al cattolicesimo e stata puramente formale e mossa dal desiderio di occupare cariche pubbliche – riservate ai cattolici – celebrando in pubblico riti inequivocabilmente giudaici o “giudaizzando” i riti cattolici. È un fatto noto agli storici e largamente provato che, a un certo punto, nella cattedrale di Cordoba si celebrava un ufficio che aveva ben poco di cattolico e dove tutti i riferimenti culturali erano giudaici.
A partire dal 1391 esplodono in Spagna episodi di violenza popolare contro gli ebrei, sia di religione giudaica che conversos, che fa molti morti: e sarebbe stato un bagno di sangue senza il ricorso all’Inquisizione, richiesto insistentemente al re da molti autorevoli conversos.

Qual e dunque lo scopo primo dell’Inquisizione? Colpire i falsi conversos che hanno finto la conversione per ragioni di convenienza e che “giudaizzano” i riti cattolici.
 

Ma qual è il rovescio della medaglia? L’Inquisizione, colpendo una ridotta percentuale di conversos, certifica che tutti gli altri conversos – la stragrande maggioranza, quella che non viene colpita – è composta da veri cattolici e da veri spagnoli, che nessuno ha il diritto di discriminare e meno ancora di attaccare con la violenza.
Dal momento in cui nasce l’Inquisizione spagnola i promotori di tumulti anti-giudaici perdono qualunque giustificazione, vengono colpiti dal potere reale e in pochi anni i tumulti spariscono. Colpendo una minima percentuale di conversos fittizi l’Inquisizione ha salvato gli ebrei convertiti di Spagna dalle invidie e dai tumulti e ne ha garantito la prosperità: sono di origine ebraica Diego Lainez, il grande protagonista del Concilio di Trento, molti gesuiti, grandi famiglie come gli Acosta di Medina del Campo – che daranno cinque fratelli, i famosi padri Acosta, alla Compagnia di Gesù – e i marchesi di Cadice, poi noti come duchi di Arcos.
 

Ma ancora: a chi la Chiesa mette in mano l’Inquisizione? A conversos, a cattolici di origine ebraica come Tomas de Torquemada e come il suo successore Diego Deza.
Garanzia di un trattamento senza pregiudizi anti-giudaici; e forse ragione occulta delle incredibili menzogne che tutta una letteratura di propaganda ha diffuso su questi personaggi. Pochi sanno che lo stesso Torquemada e uno dei maggiori mecenati e protettori di artisti della sua epoca: tutto il magnifico complesso di San Tommaso d’Avila, il vertice del gotico spagnolo, e il frutto del mecenatismo di Tomas de Torquemada, a cui deve molto anche la grande pittura di Pedro de Berruguete.
Ma desterà ancora maggiore stupore sapere che Tomas de Torquemada e stato un inquisitore generale relativamente mite e liberale, che si e battuto per ottenere ampie amnistie come quella del 1484, di cui ha beneficiato il nonno di santa Teresa d’Avila, un ebreo converso sorpreso a “giudaizzare” che con l’amnistia si ritrova libero e riabilitato fino a potere diventare direttore delle finanze reali ad Avila. Tra l’altro, la pena a cui era stato condannato non era poi terribile: doveva visitare in abito da penitente un certo numero di chiese tutti i venerdì».

Da un’intervista allo storico francese Jean Dumont [1923-2001]

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venerdì 8 febbraio 2013

Asini-Vescovi

«La Chiesa è, come diceva sant’Ambrogio, ex maculatis immacolata: una realtà intrinsecamente santa costituita da uomini che sono tutti, in grado e in misura diversi, peccatori.
Qui sta appunto il suo prodigio e il suo fascino: l’Artefice divino, usando la materia povera e difettosa che l’umanità gli mette a disposizione, riesce in ogni epoca a modellare un’opera d’arte, splendente di verità assoluta e di sovrumana bellezza; verità e bellezza che sono anche nostre, di ciascuno di noi, secondo la proporzione del nostro effettivo inserimento nel corpo di Cristo.
Si dimostra pertanto vero ed acuto teologo – quale che sia la sua qualifica accademica e la sua cultura riconosciuta – non tanto colui che s’indigna e si scandalizza perché ci sono dei vescovi che secondo lui sono asini, quanto colui che si commuove e si entusiasma perché – passi l’irriverenza – ci sono degli asini che sono vescovi.» 


Cardinale Giacomo Biffi - Dalla Prefazione del libro “Pensare la Storia” di Vittorio Messori.

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sabato 2 febbraio 2013

Tu sei Pietro

«E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa». (Mt 16,18).

«Il testo di Matteo contiene due elementi molto importanti: il primato di Pietro e dei suoi successori nella Chiesa che Cristo ha fondato, e pertanto del Santo Padre; l’assistenza di Gesù per la Sua Chiesa contro le forze del male.

Diamo per scontato il primo punto, fondamentale per la Chiesa, perché senza questo primato di Pietro e la comunione con lui, non c’è la Chiesa cattolica. Permettetemi, però, alcune riflessioni sul secondo punto: le forze del male, che Matteo chiama “il potere della morte”.

Assistiamo oggi ad un accanimento molto speciale contro la Chiesa cattolica in generale e contro il Santo Padre in particolare.
Perché tutto questo?
Qual è la ragione principale?
Si può articolare in poche parole: perché è la Verità che ci dà il messaggio di Cristo!
Quando questa Verità non si oppone alle forze del male, tutto va bene.
Invece, quando avanza la minima opposizione, insorge una lotta che utilizza la diffamazione, l’odio e persino la persecuzione contro la Chiesa e più specificamente contro la persona del Santo Padre.
Diamo un’occhiata ad alcuni momenti della storia, che è “maestra della verità”.
 

Gli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano II passano in un’euforia generale per la Chiesa e di conseguenza per il papa.
Ma è sufficiente la pubblicazione dell’”Humanae vitae”, con cui il Santo Padre conferma la dottrina tradizionale per cui l’atto coniugale e l’aspetto procreativo non possono essere lecitamente separati, che esplode la critica più feroce contro papa Paolo VI, che fino a quel momento era nelle grazie del mondo.
Le sue simpatie per Jacques Maritain e per l’umanesimo integrale avevano aperto le speranze degli ambienti modernisti interni alla Chiesa e al progressismo politico e mondano.
Lo stesso si è ripetuto più volte nel lungo pontificato di Giovanni Paolo II. Quando viene eletto, le élites culturali occidentali sono ammaliate dalla lettura marxista della realtà. Giovanni Paolo II non si adatta a questo conformismo culturale imbarazzante e intraprende col comunismo un duello duro, che lo porta sino ad essere un bersaglio fisico di un oscuro progetto omicida.
Lo stesso accadrà sempre a Giovanni Paolo II relativamente alla bioetica, con la pubblicazione dell’”Evangelium vitae”, nel 1995, un compendio solido e senza sconti sulle principali questioni della vita e della morte.
Ed ora, sempre per amore alla “Verità vera ed evangelica”, il bersaglio è diventato Benedetto XVI.
 

Già marcato con disprezzo negli anni precedenti come il “guardiano della fede”, appena eletto, immediatamente è stato accolto da commentatori da tutto il mondo con una miscela di sentimenti, che vanno dalla rabbia alla paura, al vero e proprio terrore.
Ora, una cosa è certa: papa Benedetto XVI ha impresso al suo pontificato il sigillo della continuità con la tradizione millenaria della Chiesa e soprattutto della purificazione. Sì, perché all’insicurezza della fede segue sempre l’offuscamento della morale.
Infatti, se vogliamo essere onesti, dobbiamo riconoscere che è aumentato anno dopo anno, tra i teologi e religiosi, tra suore e vescovi, il gruppo di quanti sono convinti che l’appartenenza alla Chiesa non comporta il riconoscimento e l’adesione a una dottrina oggettiva.

Si è affermato un cattolicasimo “à la carte”, in cui ciascuno sceglie la porzione che preferisce e respinge il piatto che ritiene indigesto.
In pratica un cattolicesimo dominato dalla confusione dei ruoli, con sacerdoti che non si applicano con impegno alla celebrazione della messa e alle confessioni dei penitenti, preferendo fare dell’altro.
E con laici e donne che cercano di prendersi un poco per loro il ruolo del sacerdote, per guadagnare un quarto d’ora di celebrità parrocchiale, leggendo la preghiera dei fedeli o distribuendo la comunione.

Ecco, che qui papa Benedetto XVI, proprio a causa della sua fedeltà verso la “Verità”, fa una cosa che è sfuggita all’attenzione di molti commentatori: porta di nuovo, integralmente, il credo nella formula del Concilio di Costantinopoli, cioè nella versione normalmente contenuta nella messa. Il messaggio è chiaro: ricominciamo dalla dottrina, dal contenuto fondamentale della nostra fede. «Sì, perché – scrive il teologo e papa Ratzinger – il primario annuncio missionario della Chiesa oggi è minacciato dalle teorie di tipo relativistico, che intendono giustificare il pluralismo religioso, non solo de facto ma anche de jure».

La conseguenza di questo relativismo, spiega il futuro papa Benedetto XVI, è che si considerano superate un certo numero di verità, per esempio:
- il carattere definitivo e completo della rivelazione di Cristo;
- la naturalezza della fede teologica cristiana rispetto alla credenza nelle altre religioni;
- l’unicità e l’universalità salvifica nel mistero di Cristo;
- la mediazione salvifica universale della Chiesa;
- la sussistenza nella Chiesa cattolica romana dell’unica Chiesa di Cristo.
Ecco qui, pertanto, la Verità come la principale causa di questa avversione e direi quasi persecuzione al Santo Padre. Un’avversione che ha come conseguenza pratica il suo sentirsi solo, un po’ abbandonato.
Abbandonato da chi?
 

Ecco la grande contraddizione! Abbandonato dagli oppositori alla Verità, ma soprattutto da certi sacerdoti e religiosi, non solo dai vescovi; però non dai fedeli.
Il clero sta vivendo una certa crisi, prevale nell’episcopato un basso profilo, ma i fedeli di Cristo sono ancora con tutto il loro entusiasmo. Accanitamente continuano a pregare e ad andare a messa, frequentano i sacramenti e dicono il rosario. E soprattutto, sperano nel papa.


C’è un sorprendente punto di contatto tra il papa Benedetto XVI e la gente, tra l’uomo vestito di bianco e le anime di milioni di cristiani.
Loro capiscono e amano il papa. Questo perché la loro fede è semplice! D’altronde è la semplicità la porta di ingresso della Verità.
Durante questa celebrazione eucaristica chiediamo al buon Dio e alla Vergine di poter far parte, anche noi, di questo tipo di cristiani.»

Mons. Adriano Bernardini - Buenos Aires, 22 febbraio 2011, festa della Cattedra di San Pietro