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sabato 21 novembre 2015
Indurre alla virtù
«Come abbiamo già spiegato, la legge non è altro che il dettame della ragione in colui che comanda, e che governa dei sudditi.
Ora, la virtù di un suddito consiste nel ben sottostare a colui che lo governa: la virtù dell'irascibile e del concupiscibile, p. es., consiste precisamente nella loro sottomissione alla ragione.
Allo stesso modo, a detta del Filosofo, “La virtù di qualsiasi suddito sta nell'essere ben sottomesso al suo superiore”.
Ma qualsiasi legge è fatta per essere osservata da chi vi è soggetto.
Perciò è evidente che è compito peculiare della legge di indurre i sudditi alla virtù.
E poiché la virtù consiste “nel rendere buono chi la possiede”, ne segue che è un effetto diretto della legge render buoni, in senso assoluto, o relativo, coloro ai quali è imposta.
Infatti se il legislatore ha di mira il vero bene, cioè il bene comune regolato secondo la divina giustizia, gli uomini con le sue leggi diventano buoni in senso assoluto.
Se invece l'intenzione del legislatore non ha di mira il vero bene, ma il proprio bene, utile o dilettevole, contrario alla divina giustizia; allora la legge non rende gli uomini buoni in senso assoluto, ma buoni in senso relativo, cioè buoni per codesto regime.
E in codesto senso si trova il bene anche in qualità essenzialmente cattive: così si parla di un buon ladro, nel senso che sa agir bene per i suoi fini».
Tommaso d'Aquino, S. th. I-II, q.92, a. 1.
Paolo Mitri
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