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lunedì 25 settembre 2017
Esige la vittoria
Da secoli, [in ampie zone in Asia e in Africa], più volte al giorno il muezzin ricorda ai muslim, i «sottomessi», che non c’è altro Dio che Allah e che Maometto è il suo Profeta.
Il contadino turco che si prosterna a quel richiamo, forse neanche sospetta che da quelle stesse parti qualcuno aveva un giorno accettato una fede – che gli fa orrore perché la giudica blasfema – in un Dio che si fa uomo e muore per la salvezza degli uomini.
Una disfatta? Certo, sarebbe tale per il «mondo»; e lo sarebbe anche per l’islamismo, religione che non ha posto per la croce e che vuole il successo in terra per provare la forza e la potenza del suo Dio.
La cristianità ha finito coll’accettare che persino i luoghi della passione e risurrezione di Gesù restassero in mano ad altri (Deus non vult, Dio non vuole, fu la conclusione di mistici e teologi davanti al fallimento delle crociate).
La Umma, la comunità islamica, non si è rassegnata – né può farlo – all’essere stata costretta ad arretrare le sue frontiere. Il motto di battaglia dell’attuale movimento dei «Fratelli musulmani» è duplice: «Palestina ed Andalusia».
Cacciare gli ebrei da Gerusalemme; ma anche i cristiani da Córdoba, Granada, Malaga, Cadice, da quei luoghi dove per sette secoli la moschea aveva sostituito la croce.
Il Dio di Maometto si manifesta nel guerriero vittorioso; il Dio di Gesù nel servo sconfitto e inutile.
Il Corano esige la vittoria; al Vangelo basta la testimonianza.
Non va dimenticato, meditando su questi enigmi, per evitare che diventino scandali.
Vittorio Messori: Pensare la storia – Editrice San Paolo, 1992 – ISLAM 6 (279).
Paolo Mitri
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