«È in atto da gran tempo, ma oggi si è rafforzata, una campagna in grande stile per minare la saldezza morale della Chiesa con l’ipertrofia del sentimento più morboso e vano: quello della colpevolezza.
Il punto è di importanza capitale, perché il mezzo più sicuro per spingere al suicidio un qualsiasi organismo consiste nell’inoculargli il veleno del rimorso.
Una cosa è il pentimento lucido e creatore che supera e ripara il male col bene che vi sostituisce; altra cosa è il rimorso che rode, che talvolta segretamente si compiace del suo inferno, abitato dai fantasmi di una vergogna che porta alla disperazione.
Il rimorso non compensa nulla. Al contrario, distrugge tutto. Compie l’opera del peccato rendendola in qualche modo eterna, togliendo al peccatore la fiducia e il coraggio necessari al suo raddrizzamento e alla sua difesa.
Quel rimorso è il germe di morte che un’Impresa di Sovversione insinua da tempo, in mille maniere, nell’anima della Chiesa e di quella Europa che così profondamente la Chiesa stessa ha contribuito a creare. I duemila anni di storia della cristianità non sono certo immuni da macchie. Ma sono macchie antiche, che non hanno impedito al fulgore di manifestarsi di nuovo. Eppure, quelle chiazze sbiadite sono di continuo ravvivate, segnate con segni indelebili, mostrate senza posa agli occhi dei credenti, e, in genere, degli europei di tradizione cristiana, in modo tale che ciò che dovrebbe costituire solo un ricordo deplorevole, si fissi nelle coscienze e vi diventi un’ossessione.
Inquisizione, colonialismo, invasione delle Americhe, Galileo, antisemitismo, collusioni col fascismo per sempre, si grida, voi siete responsabili o almeno solidali con questi crimini; gli equivalenti dei quali, tra l’altro, purché non siano imputabili alla Chiesa e all’Europa, purché anzi essi ne siano le vittime, godono di tutte le indulgenze.
Inventate e gestite da persone intelligenti, lucide nel loro programma di distruzione del cristianesimo e propagate da una folla di sciocchi, di disinformati, di masochisti all’interno stesso della Chiesa, queste mitologie, queste “leggende nere” trionfano in un organismo ecclesiale in cui si è inoculato il germe del rimorso.
Tutte le tecniche di condizionamento degli spiriti contribuiscono all’impresa di infezione morale, magistralmente abbozzata fin dalla scuola elementare e sorretta dal sistema dei media, concepiti espressamente per distogliere dalla possibilità di saper leggere e, per conseguenza, pensare.
Il terreno così trattato è pronto a ricevere le sementi della propaganda e a centuplicarle: tanto che i seminatori della zizzania del rimorso, vedendo levarsi una bella messe, tentano oggi (validamente aiutati da “cristiani”, da “cattolici”) di strappare dal suolo tutto quanto resiste ancora alla loro opera di disarmo degli spiriti, di affievolimento delle ultime capacità di resistenza della fede».
Alexis Curvers
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sabato 24 settembre 2011
lunedì 19 settembre 2011
Mentre la modernità moriva
Parlando della sua conversione, Vittorio Messori ricorda, in un’intervista del 1990, il suo ingresso nella Chiesa proprio nel momento in cui essa attraversava la maggiore crisi: «mentre cercavo di entrare, incontravo schiere di chierici e di laici fino ad allora chiusi nelle parrocchie che facevano il cammino opposto. Io entravo e loro uscivano. Il Concilio aveva aperto le porte e loro, invece di uscire per essere missionari, si precipitavano fuori scoprendo la cultura laica e quella marxista, che erano già in decadenza, dichiarandosi marxisti, socialisti, liberali… Il dramma dei cattolici di questi anni è stato convertirsi alla modernità, mentre la modernità moriva…».
***
«Il Concilio [Vaticano II] voleva segnare il passaggio da un atteggiamento di conservazione a un atteggiamento missionario. Molti dimenticano che il concetto conciliare opposto a “conservatore” non è “progressista” ma “missionario”».
(Dal libro “Rapporto sulla Fede”, Vittorio Messori intervista il Card. Ratzinger – 1985, Capitolo 1)
martedì 13 settembre 2011
Cristo e la società giusta nel pensiero di Agostino
«[…] Robert Dodaro, sacerdote e studioso agostiniano, ha scritto un bel libro pochi anni fa intitolato: “Cristo e la società giusta nel pensiero di Agostino”. In questo libro e altrove, Dodaro fissa in alcuni punti chiave la visione di Agostino del cristianesimo e della politica.
Anzitutto, Agostino non ha mai realmente prodotto una teoria politica, e il motivo c’è. Egli non crede che l’essere umano possa conoscere o creare una giustizia perfetta in questo mondo. Il nostro giudizio è sempre segnato dalla nostra condizione di peccatori. Quindi, il giusto punto di partenza per ogni politica cristiana è l’umiltà, la modestia e un realismo molto misurato.
Secondo, nessun ordine politico, non importa quanto sembri buono, può mai costituire una società giusta. Errori nel giudizio morale non possono essere evitati. Questi errori aumentano esponenzialmente nella loro complessità quando muovono dai bassi agli alti livelli della società e del governo. Perciò il cristiano deve essere leale alla sua nazione e obbediente ai suoi legittimi governanti. Ma deve anche coltivare una vigilanza critica sull’una e sugli altri.
Terzo, nonostante queste riserve critiche, i cristiani hanno il dovere di prendere parte alla vita pubblica secondo le capacità date loro da Dio, anche quando la loro fede li mette in conflitto con la pubblica autorità. Non possiamo semplicemente ignorare o ritirarci dalla cosa pubblica. La ragione è semplice. Le classiche virtù civiche enumerate da Cicerone – prudenza, giustizia, fortezza, temperanza – possono essere rinnovate ed elevate, a beneficio di tutti i cittadini, dalle virtù cristiane della fede, della speranza e della carità. Quindi l’impegno politico è un degno compito cristiano, e un pubblico ufficio è una onorevole vocazione cristiana.
Quarto, nel governare come meglio possono, mentre conformano le loro vite e i loro giudizi al contenuto del Vangelo, i leader cristiani nella vita pubblica possono compiere un bene reale, e possono fare la differenza. Il loro successo sarà sempre limitato e mescolato ad altro. Non sarà mai ideale. Ma con l’aiuto di Dio possono migliorare la qualità morale della società, il che basta a rendere il loro sforzo inestimabile.
Ciò che Agostino si attende dai leader cristiani, possiamo ragionevolmente estenderlo alla vocazione di tutti i cittadini cristiani. Le doti dei cittadini cristiani sono in definitiva semplici: uno zelo per Gesù Cristo e la sua Chiesa; una coscienza formata in umiltà e radicata nelle Scritture e nella comunità credente; la prudenza per vedere quali questioni nella vita pubblica sono vitali e fondamentali per l’umana dignità, e quali no; il coraggio di operare per ciò che è giusto. Non coltiviamo tali abilità da soli. Le sviluppiamo insieme come cristiani, in preghiera, in ginocchio, alla presenza di Gesù Cristo. […]»
Charles J. Chaput (Arcivescovo di Denver) – Estratto della Conferenza tenuta alla “Baptist University” di Houston, 1 marzo 2010.
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Anzitutto, Agostino non ha mai realmente prodotto una teoria politica, e il motivo c’è. Egli non crede che l’essere umano possa conoscere o creare una giustizia perfetta in questo mondo. Il nostro giudizio è sempre segnato dalla nostra condizione di peccatori. Quindi, il giusto punto di partenza per ogni politica cristiana è l’umiltà, la modestia e un realismo molto misurato.
Secondo, nessun ordine politico, non importa quanto sembri buono, può mai costituire una società giusta. Errori nel giudizio morale non possono essere evitati. Questi errori aumentano esponenzialmente nella loro complessità quando muovono dai bassi agli alti livelli della società e del governo. Perciò il cristiano deve essere leale alla sua nazione e obbediente ai suoi legittimi governanti. Ma deve anche coltivare una vigilanza critica sull’una e sugli altri.
Terzo, nonostante queste riserve critiche, i cristiani hanno il dovere di prendere parte alla vita pubblica secondo le capacità date loro da Dio, anche quando la loro fede li mette in conflitto con la pubblica autorità. Non possiamo semplicemente ignorare o ritirarci dalla cosa pubblica. La ragione è semplice. Le classiche virtù civiche enumerate da Cicerone – prudenza, giustizia, fortezza, temperanza – possono essere rinnovate ed elevate, a beneficio di tutti i cittadini, dalle virtù cristiane della fede, della speranza e della carità. Quindi l’impegno politico è un degno compito cristiano, e un pubblico ufficio è una onorevole vocazione cristiana.
Quarto, nel governare come meglio possono, mentre conformano le loro vite e i loro giudizi al contenuto del Vangelo, i leader cristiani nella vita pubblica possono compiere un bene reale, e possono fare la differenza. Il loro successo sarà sempre limitato e mescolato ad altro. Non sarà mai ideale. Ma con l’aiuto di Dio possono migliorare la qualità morale della società, il che basta a rendere il loro sforzo inestimabile.
Ciò che Agostino si attende dai leader cristiani, possiamo ragionevolmente estenderlo alla vocazione di tutti i cittadini cristiani. Le doti dei cittadini cristiani sono in definitiva semplici: uno zelo per Gesù Cristo e la sua Chiesa; una coscienza formata in umiltà e radicata nelle Scritture e nella comunità credente; la prudenza per vedere quali questioni nella vita pubblica sono vitali e fondamentali per l’umana dignità, e quali no; il coraggio di operare per ciò che è giusto. Non coltiviamo tali abilità da soli. Le sviluppiamo insieme come cristiani, in preghiera, in ginocchio, alla presenza di Gesù Cristo. […]»
Charles J. Chaput (Arcivescovo di Denver) – Estratto della Conferenza tenuta alla “Baptist University” di Houston, 1 marzo 2010.
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martedì 6 settembre 2011
L’umanizzazione solidale
La globalizzazione è fenomeno multidimensionale e polivalente, che esige di essere colto nella diversità e nell’unità di tutte le sue dimensioni, compresa quella teologica
«(…) I processi di globalizzazione, adeguatamente concepiti e gestiti, offrono la possibilità di una grande ridistribuzione della ricchezza a livello planetario come in precedenza non era mai avvenuto; se mal gestiti, possono invece far crescere povertà e disuguaglianza, nonché contagiare con una crisi l’intero mondo. Bisogna correggerne le disfunzioni, anche gravi, che introducono nuove divisioni tra i popoli e dentro i popoli e fare in modo che la ridistribuzione della ricchezza non avvenga con una ridistribuzione della povertà o addirittura con una sua accentuazione, come una cattiva gestione della situazione attuale potrebbe farci temere.
Per molto tempo si è pensato che i popoli poveri dovessero rimanere ancorati a un prefissato stadio di sviluppo e dovessero accontentarsi della filantropia dei popoli sviluppati. Contro questa mentalità ha preso posizione Paolo VI nella Populorum progressio. Oggi le forze materiali utilizzabili per far uscire quei popoli dalla miseria sono potenzialmente maggiori di un tempo, ma di esse hanno finito per avvalersi prevalentemente gli stessi popoli dei Paesi sviluppati, che hanno potuto sfruttare meglio il processo di liberalizzazione dei movimenti di capitali e del lavoro. La diffusione delle sfere di benessere a livello mondiale non va, dunque, frenata con progetti egoistici, protezionistici o dettati da interessi particolari. Infatti il coinvolgimento dei Paesi emergenti o in via di sviluppo, permette oggi di meglio gestire la crisi.
La transizione insita nel processo di globalizzazione presenta grandi difficoltà e pericoli, che potranno essere superati solo se si saprà prendere coscienza di quell’anima antropologica ed etica, che dal profondo sospinge la globalizzazione stessa verso traguardi di umanizzazione solidale. Purtroppo tale anima è spesso soverchiata e compressa da prospettive etico-culturali di impostazione individualistica e utilitaristica. La globalizzazione è fenomeno multidimensionale e polivalente, che esige di essere colto nella diversità e nell’unità di tutte le sue dimensioni, compresa quella teologica. Ciò consentirà di vivere ed orientare la globalizzazione dell’umanità in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione.»
Benedetto XVI – Caritas in Veritate 42 – 2009
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«(…) I processi di globalizzazione, adeguatamente concepiti e gestiti, offrono la possibilità di una grande ridistribuzione della ricchezza a livello planetario come in precedenza non era mai avvenuto; se mal gestiti, possono invece far crescere povertà e disuguaglianza, nonché contagiare con una crisi l’intero mondo. Bisogna correggerne le disfunzioni, anche gravi, che introducono nuove divisioni tra i popoli e dentro i popoli e fare in modo che la ridistribuzione della ricchezza non avvenga con una ridistribuzione della povertà o addirittura con una sua accentuazione, come una cattiva gestione della situazione attuale potrebbe farci temere.
Per molto tempo si è pensato che i popoli poveri dovessero rimanere ancorati a un prefissato stadio di sviluppo e dovessero accontentarsi della filantropia dei popoli sviluppati. Contro questa mentalità ha preso posizione Paolo VI nella Populorum progressio. Oggi le forze materiali utilizzabili per far uscire quei popoli dalla miseria sono potenzialmente maggiori di un tempo, ma di esse hanno finito per avvalersi prevalentemente gli stessi popoli dei Paesi sviluppati, che hanno potuto sfruttare meglio il processo di liberalizzazione dei movimenti di capitali e del lavoro. La diffusione delle sfere di benessere a livello mondiale non va, dunque, frenata con progetti egoistici, protezionistici o dettati da interessi particolari. Infatti il coinvolgimento dei Paesi emergenti o in via di sviluppo, permette oggi di meglio gestire la crisi.
La transizione insita nel processo di globalizzazione presenta grandi difficoltà e pericoli, che potranno essere superati solo se si saprà prendere coscienza di quell’anima antropologica ed etica, che dal profondo sospinge la globalizzazione stessa verso traguardi di umanizzazione solidale. Purtroppo tale anima è spesso soverchiata e compressa da prospettive etico-culturali di impostazione individualistica e utilitaristica. La globalizzazione è fenomeno multidimensionale e polivalente, che esige di essere colto nella diversità e nell’unità di tutte le sue dimensioni, compresa quella teologica. Ciò consentirà di vivere ed orientare la globalizzazione dell’umanità in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione.»
Benedetto XVI – Caritas in Veritate 42 – 2009
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giovedì 1 settembre 2011
Tu che abiti in mezzo a noi
Tu, o Madre, sei vicina a tutti e tutti proteggi e, benché i nostri occhi siano impediti dal vederti sappiamo che tu abiti in mezzo a tutti noi e ti rendi presente nei modi più diversi.
«Creano ancora adesso stupore anche alcuni testi mariologici di Germano [di Costantinopoli] che fanno parte delle omelie tenute In SS. Deiparae dormitionem, festività corrispondente alla nostra festa dell’Assunzione. Fra questi testi il Papa Pio XII ne prelevò uno che incastonò come una perla nella Costituzione apostolica Munificentissimus Deus (1950), con la quale dichiarò dogma di fede l’Assunzione di Maria. Questo testo il Papa Pio XII citò nella menzionata Costituzione, presentandolo come uno degli argomenti in favore della fede permanente della Chiesa circa l’Assunzione corporale di Maria in cielo. Germano scrive:
“Poteva mai succedere, santissima Madre di Dio, che il cielo e la terra si sentissero onorati dalla tua presenza, e tu, con la tua partenza, lasciassi gli uomini privi della tua protezione? No. È impossibile pensare queste cose. Infatti come quando eri nel mondo non ti sentivi estranea alle realtà del cielo, così anche dopo che sei emigrata da questo mondo non ti sei affatto estraniata dalla possibilità di comunicare in spirito con gli uomini… Non hai affatto abbandonato coloro ai quali hai garantito la salvezza… infatti il tuo spirito vive in eterno né la tua carne subì la corruzione del sepolcro. Tu, o Madre, sei vicina a tutti e tutti proteggi e, benché i nostri occhi siano impediti dal vederti, tuttavia sappiamo, o Santissima, che tu abiti in mezzo a tutti noi e ti rendi presente nei modi più diversi… Tu (Maria) ti riveli tutta, come sta scritto, nella tua bellezza. Il tuo corpo verginale è totalmente santo, tutto casto, tutto casa di Dio così che, anche per questo, è assolutamente refrattario ad ogni riduzione in polvere. Esso è immutabile, dal momento che ciò che in esso era umano è stato assunto nella incorruttibilità, restando vivo e assolutamente glorioso, incolume e partecipe della vita perfetta. Infatti era impossibile che fosse tenuta chiusa nel sepolcro dei morti colei che era divenuta vaso di Dio e tempio vivo della santissima divinità dell’Unigenito. D’altra parte noi crediamo con certezza che tu continui a camminare con noi” (PG 98, coll. 344B–346B, passim).»
Benedetto XVI – Catechesi di Mercoledì 29 aprile 2009 – Germano di Costantinopoli.
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«Creano ancora adesso stupore anche alcuni testi mariologici di Germano [di Costantinopoli] che fanno parte delle omelie tenute In SS. Deiparae dormitionem, festività corrispondente alla nostra festa dell’Assunzione. Fra questi testi il Papa Pio XII ne prelevò uno che incastonò come una perla nella Costituzione apostolica Munificentissimus Deus (1950), con la quale dichiarò dogma di fede l’Assunzione di Maria. Questo testo il Papa Pio XII citò nella menzionata Costituzione, presentandolo come uno degli argomenti in favore della fede permanente della Chiesa circa l’Assunzione corporale di Maria in cielo. Germano scrive:
“Poteva mai succedere, santissima Madre di Dio, che il cielo e la terra si sentissero onorati dalla tua presenza, e tu, con la tua partenza, lasciassi gli uomini privi della tua protezione? No. È impossibile pensare queste cose. Infatti come quando eri nel mondo non ti sentivi estranea alle realtà del cielo, così anche dopo che sei emigrata da questo mondo non ti sei affatto estraniata dalla possibilità di comunicare in spirito con gli uomini… Non hai affatto abbandonato coloro ai quali hai garantito la salvezza… infatti il tuo spirito vive in eterno né la tua carne subì la corruzione del sepolcro. Tu, o Madre, sei vicina a tutti e tutti proteggi e, benché i nostri occhi siano impediti dal vederti, tuttavia sappiamo, o Santissima, che tu abiti in mezzo a tutti noi e ti rendi presente nei modi più diversi… Tu (Maria) ti riveli tutta, come sta scritto, nella tua bellezza. Il tuo corpo verginale è totalmente santo, tutto casto, tutto casa di Dio così che, anche per questo, è assolutamente refrattario ad ogni riduzione in polvere. Esso è immutabile, dal momento che ciò che in esso era umano è stato assunto nella incorruttibilità, restando vivo e assolutamente glorioso, incolume e partecipe della vita perfetta. Infatti era impossibile che fosse tenuta chiusa nel sepolcro dei morti colei che era divenuta vaso di Dio e tempio vivo della santissima divinità dell’Unigenito. D’altra parte noi crediamo con certezza che tu continui a camminare con noi” (PG 98, coll. 344B–346B, passim).»
Benedetto XVI – Catechesi di Mercoledì 29 aprile 2009 – Germano di Costantinopoli.
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