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venerdì 26 dicembre 2014
L'abbandono della bellezza
«È divenuto sempre più percepibile il pauroso impoverimento che si manifesta dove si scaccia la bellezza e ci si assoggetta solo all’utile. L’esperienza ha mostrato come il ripiegamento sull’unica categoria del “comprensibile a tutti” non ha reso le liturgie davvero più comprensibili, più aperte, ma solo più povere.
Liturgia “semplice” non significa misera o a buon mercato: c’è la semplicità che viene dal banale e quella che deriva dalla ricchezza spirituale, culturale, storica.
Anche qui si è messa da parte la grande musica della Chiesa in nome della “partecipazione attiva”: ma questa “partecipazione” non può forse significare anche il percepire con lo spirito, con i sensi?
Non c’è proprio nulla di “attivo” nell’ascoltare, nell’intuire, nel commuoversi?
Non c’è qui un rimpicciolire l’uomo, un ridurlo alla sola espressione orale, proprio quando sappiamo che ciò che vi è in noi di razionalmente cosciente ed emerge alla superficie è soltanto la punta di un iceberg rispetto a ciò che è la nostra totalità?
Chiedersi questo non significa certo opporsi allo sforzo per far cantare tutto il popolo, opporsi alla “musica d’uso”: significa opporsi a un esclusivismo (solo quella musica) che non è giustificato né dal Concilio né dalle necessità pastorali.
Una Chiesa che si riduca solo a fare della musica “corrente” cade nell’inetto e diviene essa stessa inetta. La Chiesa ha il dovere di essere anche “città della gloria”, luogo dove sono raccolte e portate all’orecchio di Dio le voci più profonde dell’umanità. La Chiesa non può appagarsi del solo ordinario, del solo usuale: deve ridestare la voce del Cosmo, glorificando il Creatore e svelando al Cosmo stesso la sua magnificenza, rendendolo bello, abitabile, umano».
Joseph Ratzinger in: Vittorio Messori, Rapporto sulla fede. Capitolo Nono - Liturgia tra antico e nuovo. (1984)
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sabato 20 dicembre 2014
La notte di Natale
Ier sera,
a mezzanotte meno ‘n quarto,
uscenno pè la messa de Natale,
m’è capitato un fatto…
un fatto tale,
che non so come non me pija un infarto.
All’ultimo ripiano,
all’improviso,
me so’ urtato de fianco,
con un vecchio impalato addosso ar muro
e margrado in quer punto fusse scuro,
vedevo bene solamente il viso
incorniciato da un barbone bianco,
la parete scura dove stava appoggiato,
a poco a poco è diventata azzura.
- “Io so’ papà Natale” - m’ha spiegato
- “lo stesso de quann’eri regazzino,
de quanno m’aspettavi,
guardanno nella cappa der cammino,
che te portassi quello che sognavi.
Sino a quarch’anno fa, quanno arivavo io,
se respirava er bene assieme all’aria
e l’ommeni de bona volontà,
senza la malattia contestataria,
credeveno alla nascita de Dio,
mo co’ ‘sta libbertà confusionaria,
c’è tanta gioventù che stenta a crede
e mette in discusione er fonnamento de’la religione,
giocannose er conforto de’ la fede,
Purtroppo anno pè anno
la vita sta cambianno,
pre esempio li pupetti, mo vonno:
er mitra, e’ razzo, l’avioggetti,
er casco d’alluminio,
l’abitacolo pè annà a scoprì un pianeta
e la stella commeta
che illuminò la notte der miracolo
per annuncià er Messia,
pè ricordalla non ce sta poeta,
purtroppo hanno ammazzato la poesia.” –
Ho arzato l’occhi ar cèlo
come pè dì... “ce penserà quarcuno”...
quanno l’ho riabbassati,
avanti a me nun c’era più nesuno.
C’era solo un sacchetto, un cartoncello
co’quarche giocarello cascato giù per tera,
un cavalluccio a dondolo, un tamburo,
‘na sciabbola, ‘na tromba, ‘n bambolotto,
un sordatino cor fucile rotto
assieme a ‘no straccetto tricolore,
robbetta antica senza più valore.
Le campane de Roma in quer momento
hanno detto fra poco è mezzanotte
non fate tardi al vecchio appuntamento,
ma doppo que’ rondò de pace e bene
c’è stato ‘no scombussolo,
la notte s’è riempita de urli e de sirene
e va a capì chi fosse
o pompieri o pantere o crocerosse.
Mentre stavo così,
c’è stata pè guastamme la nottata,
un’antra novità, la messa bitte
defatti da ‘na chiesa quà vicino
me arivato un fracasso indiavolato
de batterie, sassofoni, chitare,
che avrà fatto tremà Gesù bambino
e tutte le fiammelle de’ l’artare.
Entrato a casa,
ho messo er catenaccio dicenno
- “Mo che faccio...” - poi ho detto
- “Perdoneme Gesù, si pregherò quàssù” -
E pensanno l’armonium effatato,
sentivo er sono più scommunicato
e mentre che a’ la radio
parlava er Santo Padre,
io me so’ inginocchiato
davanti all’artarino
de mi madre.
Aldo Fabrizi, 1970
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sabato 13 dicembre 2014
È un fuoco puramente spirituale
«Oggi, sotto la guida di un angelo, sono stata negli abissi dell'inferno.
E un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande.
Queste le varie pene che ho viste: la prima pena, quella che costituisce l'inferno, è la perdita di Dio; la seconda, i continui rimorsi di coscienza; la terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai; la quarta pena è il fuoco che penetra l'anima, ma non l'annienta; è una pena terribile: è un fuoco puramente spirituale acceso dall'ira di Dio; la quinta pena è l'oscurità continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri ed il proprio; la sesta pena è la compagnia continua di satana; la settima pena è la tremenda disperazione, l'odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie.
Queste sono pene che tutti i dannati soffrono insieme, ma questa non è la fine dei tormenti. Ci sono tormenti particolari per le varie anime che sono i tormenti dei sensi. Ogni anima con quello che ha peccato viene tormentata in maniera tremenda e indescrivibile. Ci sono delle orribili caverne, voragini di tormenti, dove ogni supplizio si differenzia dall'altro.
Sarei morta alla vista di quelle orribili torture, se non mi avesse sostenuta l'onnipotenza di Dio. Il peccatore sappia che col senso col quale pecca verrà torturato per tutta l'eternità. Scrivo questo per ordine di Dio, affinché nessun'anima si giustifichi dicendo che l'inferno non c'è, oppure che nessuno c’è mai stato e nessuno sa come sia.
Io, Suor Faustina, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell'inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l'inferno c'è.
Ora non posso parlare di questo. Ho l'ordine da Dio di lasciarlo per iscritto.
I demoni hanno dimostrato un grande odio contro di me, ma per ordine di Dio hanno dovuto ubbidirmi.
Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto. Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l'inferno.
Quando ritornai in me, non riuscivo a riprendermi per lo spavento, al pensiero che delle anime là soffrono così tremendamente, per questo prego con maggior fervore per la conversione dei peccatori, ed invoco incessantemente la Misericordia di Dio per loro. O mio Gesù, preferisco agonizzare fino alla fine del mondo nelle più grandi torture, piuttosto che offenderTi col più piccolo peccato».
(Santa Faustina Kowalska – Diario del 20 ottobre 1936 - II° Quaderno)
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lunedì 8 dicembre 2014
Per ricordare il Cielo alla gente
«S’avvicina Natale e le vie della città s’ammantano di luci.
Una fila interminabile di negozi, una ricchezza senza fine, ma esorbitante. A sinistra della nostra macchina ecco una serie di vetrine che si fanno notare. Al di là del vetro nevica graziosamente: illusione ottica. Poi bambini e bambine su slitte trainate da renne e animaletti waltdisneyani. E ancora slitte e babbo-Natale e cerbiatti, porcellini, lepri, rane burattine e nani rossi. Tutto si muove con garbo.
Ah! Ecco gli angioletti… Macché! Sono fatine, inventate di recente, quali addobbi al paesaggio bianco.
Un bambino coi genitori si leva sulle punte dei piedini e osserva, ammaliato.
Ma nel mio cuore l’incredulità e poi quasi la ribellione: questo mondo ricco si è "accalappiato" il Natale e tutto il suo contorno, e ha sloggiato Gesù!
Ama del Natale la poesia, l’ambiente, l’amicizia che suscita, i regali che suggerisce, le luci, le stelle, i canti.
Punta sul Natale per il guadagno migliore dell’anno.
Ma a Gesù non pensa.
"Venne fra i suoi e non lo ricevettero…"
"Non c’era posto per lui nell’albergo"… nemmeno a Natale.
Stanotte non ho dormito. Questo pensiero mi ha tenuta sveglia.
Se rinascessi farei tante cose. Se non avessi fondato l’Opera di Maria, ne fonderei una che serve i Natali degli uomini sulla terra. Stamperei le più belle cartoline del mondo. Sfornerei statue e statuette coll’arte più pregiata. Inciderei poesie, canzoni passate e presenti, illustrerei libri per piccoli e adulti su questo "mistero d’amore", stenderei canovacci per rappresentazioni e film.
Non so quel che farei…
Oggi ringrazio la Chiesa che ha salvato le immagini.
Quando sono stata, venticinque anni fa, in una terra in cui dominava l’ateismo, un sacerdote scolpiva statue d’angeli per ricordare il Cielo alla gente. Oggi lo capisco di più. Lo esige l’ateismo pratico che ora invade il mondo dappertutto.
Certo che questo tenersi il Natale e bandire invece il Neonato è qualche cosa che addolora.
Che almeno in tutte le nostre case si gridi Chi è nato, facendoGli festa come non mai».
(Chiara Lubich. Dall'introduzione di “Hanno sloggiato Gesù. Riportiamo il Bambino al centro del Natale”, a cura di Lucia Velardi, Città Nuova 2005).
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martedì 2 dicembre 2014
Gli stranieri non sono nemici
«L’Italia è un paese strano. Ci vuole molto tempo per capire gli italiani. (…) Ma una cosa è certa, in Italia gli stranieri non sono nemici. Si direbbe che gli italiani sono più nemici di se stessi che degli stranieri: è curioso ma è così. (…)
Agli italiani non piacciono le leggi, anzi gli piace disobbedirle: è il loro gioco, come il gioco dei russi sono gli scacchi. Gli piace imbrogliare; essere imbrogliati gli dispiace, ma non tanto: quando qualcuno li inganna, pensano «vedi che bravo, è stato più furbo di me», e non preparano la vendetta ma tutt’al più la rivincita. Come agli scacchi.
Anche come cristiani gli italiani sono strani. Vanno a Messa ma bestemmiano. Chiedono grazie alla Madonna e ai santi, ma a Dio mi pare che cedano poco. Sanno i dieci comandamenti a memoria, ma ne rispettano al massimo due o tre. Io credo che loro aiutino chi ne ha bisogno perché sono brava gente, che ha sofferto molto e che sa che chi ha bisogno deve essere aiutato».
(Primo Levi. “Se non ora, quando?” Einaudi Editore, 1982)
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