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giovedì 26 febbraio 2015

Un amore smodato della propria eccellenza



«San Gregorio Magno sintetizza il peccato di superbia indicandone quattro manifestazioni: credere che il bene posseduto derivi esclusivamente da se stessi oppure di averlo ricevuto solo per i propri meriti; vantarsi di ciò che non si ha; cercare di far apparire uniche e singolari le proprie doti disprezzando gli altri. 

Questa semplice nota linguistica ci aiuta a cogliere in cosa consiste la forza di seduzione tipica di questo peccato che, non a caso, S. Tommaso – riprendendo sia S. Agostino che S. Gregorio Magno – definisce come amore smodato della propria eccellenza.

Esiste, infatti, in ciascuno di noi il legittimo desiderio di primeggiare, di migliorare noi stessi, di giungere alla perfezione fino al limite di quella divina; si tratta di uno stimolo positivo e potente a cercare di dare il meglio di sé nelle diverse situazioni e campi in cui siamo chiamati a operare.


La capacità seducente della superbia, il suo fascino, consiste proprio nell’esaltare questo desiderio naturale di eccellere centrando in modo assoluto l’attenzione su se stessi, prescindendo da qualsiasi considerazione oggettiva, assumendo come criterio fondamentale del proprio agire una regola del tipo: “conta solo arrivare primi, perciò sii il numero uno a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo”.

La superbia, così, mostra di essere un atteggiamento che cambia volto a seconda della situazione in cui si manifesta: in assoluto e fondamentalmente è la pretesa di essere come Dio in rapporto a tutto ciò (persone, viventi e cose) che ci circonda, ma si mostra anche come desiderio di essere “il più…” bello, forte, ricco, simpatico, intelligente, colto, raffinato, professionale, esperto, e potremmo continuare con tutte le caratteristiche positive della nostra umanità fino a comprendere le stesse dimensioni etiche e religiose: pio, buono, coerente, santo.

Perciò per naturale propensione la superbia si nutre di menzogna e di violenza perché la ricerca ad ogni costo della propria superiorità costringe a svilire o a negare la positività delle doti altrui e a combatterle come se fossero pericolosi avversari con tanta più virulenza quanto più si percepisce che l’altro è effettivamente migliore di noi».


Di Stefano Grossi. Quando la stima di se stessi diventa disprezzo degli altri – 8 marzo 2006 toscanaoggi.it

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