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mercoledì 11 marzo 2015

Il pane quotidiano



Gola: «concupiscenza», secondo la definizione scolastica di «amore disordinato delle cose sensibili»

A proposito, perché la manna, da raccogliersi per la porzione di un giorno, se prelevata di più, bacava (Es 16,4–5.16–29)? Perché chi ne prendeva di più, è segno che non si fidava di quel Dio che insegnerà a chiedere «il pane quotidiano» (Mt 6,11) e ne pigliava al prossimo che rimaneva senza.

Sicché quel ben di Dio andava a male, come «il lavoro per l’Ascensione», che «va tutto in perdizione», a quanto dicevano i nostri vecchi.

Invece, lo stomaco, che, gorgogliando, reclama, fa capire quanto siamo fragili e deboli, dipendenti e bisognosi di Dio, e insegna a dirgli grazie.

E poi, se «chi è a pancia piena, non pensa a chi l’ha vuota», – proverbio già in Giovanni Crisostomo (350 circa – 407) –, forse solo una pancia vuota fa capire, con Giobbe, la stoltezza umana di chi «mangia da solo il suo pane senza che ne mangi l’orfano» (Gb 31,17).


Di Carlo Nardi. Quando il piacere è fine a se stesso, 15 marzo 2006 – toscanaoggi.it

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