domenica 30 ottobre 2011

Come trappola mortale su tutta la terra

Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza.

«Fin dall’inizio mi sono opposto ad una grande sciagura. Per trenta, quaranta, cinquant’anni ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione. Mai la santa Chiesa ha avuto maggiore necessità di qualcuno che vi si opponesse più di oggi, quando, ahimé! si tratta ormai di un errore che si estende come trappola mortale su tutta la terra; e nella presente occasione, così grande per me, quando è naturale che io estenda lo sguardo a tutto il mondo, alla santa Chiesa e al suo futuro, non sarà spero ritenuto inopportuno che io rinnovi quella condanna che già così spesso ho pronunciato. Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza». Il liberalismo, «è contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia. La devozione non si fonda necessariamente sulla fede. Si possono frequentare le Chiese protestanti e le Chiese cattoliche, sedere alla mensa di entrambe e non appartenere a nessuna. Si può fraternizzare e avere pensieri e sentimenti spirituali in comune, senza nemmeno porsi il problema di una comune dottrina o sentirne l’esigenza. Poiché dunque la religione è una caratteristica così personale e una proprietà così privata, si deve assolutamente ignorarla nei rapporti tra le persone. Se anche uno cambiasse religione ogni mattina, a te che cosa dovrebbe importare? Indagare sulla religione di un altro non è meno indiscreto che indagare sulle sue risorse economiche o sulla sua vita familiare.»

Dal «Discorso del biglietto» (Biglietto Speech) del Beato John Henry Newman [1801-1890], pronunciato a Roma il 12 maggio 1879 in risposta alla lettura del biglietto con cui il cardinale Segretario di Stato Lorenzo Nina [1812-1885] lo informava della sua elevazione a cardinale da parte di Papa Leone XIII [1810-1903].

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domenica 23 ottobre 2011

La silenziosa luce della verità


“Dio è vicino”, ma noi siamo spesso lontani.

«[…] Abbiamo sentito nel Vangelo la domanda del Battista che si trova in carcere; il Battista, che aveva annunciato la venuta del Giudice che cambia il mondo, e adesso sente che il mondo rimane lo stesso. Fa chiedere, quindi, a Gesù: “Sei tu quello che deve venire? O dobbiamo aspettare un altro? Sei tu o dobbiamo aspettare un altro?”.
Negli ultimi due, tre secoli molti hanno chiesto: “Ma realmente sei tu? O il mondo deve essere cambiato in modo più radicale? Tu non lo fai?”.
E sono venuti tanti profeti, ideologi e dittatori, che hanno detto: “Non è lui! Non ha cambiato il mondo! Siamo noi!”. Ed hanno creato i loro imperi, le loro dittature, il loro totalitarismo che avrebbe cambiato il mondo. E lo ha cambiato, ma in modo distruttivo. Oggi sappiamo che di queste grandi promesse non è rimasto che un grande vuoto e grande distruzione. Non erano loro.
E così dobbiamo di nuovo vedere Cristo e chiedere a Cristo: “Sei tu?”.
Il Signore, nel modo silenzioso che gli è proprio, risponde: “Vedete cosa ho fatto io. Non ho fatto una rivoluzione cruenta, non ho cambiato con forza il mondo, ma ho acceso tante luci che formano, nel frattempo, una grande strada di luce nei millenni”.
[…] Il Signore ha detto nella risposta a Giovanni, che non è la violenta rivoluzione del mondo, non sono le grandi promesse che cambiano il mondo, ma è la silenziosa luce della verità, della bontà di Dio che è il segno della Sua presenza e ci dà la certezza che siamo amati fino in fondo e che non siamo dimenticati, non siamo un prodotto del caso, ma di una volontà di amore.
Così possiamo vivere, possiamo sentire la vicinanza di Dio. “Dio è vicino”, […] ma noi siamo spesso lontani. Avviciniamoci, andiamo alla presenza della Sua luce, preghiamo il Signore e nel contatto della preghiera diventiamo noi stessi luce per gli altri.»

Benedetto XVI - Alla Parrocchia romana di San Massimiliano Kolbe a Torre Angela. 12 dicembre 2010
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lunedì 17 ottobre 2011

Avvicinarlo almeno come Sconosciuto

Il dialogo fra culture è non solo possibile, ma necessario, perché da esso possono derivare una mutua correzione e un arricchimento vicendevole. Il terreno di incontro è quello della ragione.

Un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo. Mentre su quest’ultima un vero dialogo non è possibile senza mettere fra parentesi la propria fede, occorre affrontare nel confronto pubblico le conseguenze culturali delle decisioni religiose di fondo. Qui il dialogo e una mutua correzione e un arricchimento vicendevole sono possibili e necessari. (Dalla lettera di Papa Benedetto XVI al Senatore Marcello Pera, pubblicata in apertura del suo libro “Perché dobbiamo dirci cristiani” – Mondadori, Milano, 2008).

«A rigor di termini […] secondo Benedetto XVI, un dialogo interreligioso che avesse pretese teologiche non è praticabile, perché condannato alla sterilità: su che cosa ci si può mettere d’accordo, quando sul piano teologico non si ha nulla in comune?
È diverso il caso del dialogo ecumenico con i fratelli cristiani non cattolici: in quel caso abbiamo qualcosa che ci accomuna (la stessa fede), sebbene ci possano essere molteplici punti, anche di un certo rilievo, che ci separano. Con le altre religioni non possiamo dire che abbiamo in comune lo stesso Dio (questione problematica anche nel rapporto con le cosiddette religioni “monoteistiche”; figuriamoci quando si tratta di dialogare con le religioni orientali); non basta essere contro l’ateismo o l’indifferentismo contemporanei per trovare un punto comune con le altre tradizioni religiose.
Il fatto che non sia possibile un dialogo teologico con le religioni, non significa però che non si possa stabilire con loro alcun tipo di dialogo. È per questo che Benedetto XVI parla di “dialogo interculturale”: è proprio sul piano culturale o, se vogliamo, razionale che è possibile incontrarsi con coloro che non condividono la nostra stessa fede.
Nella sua lettera al Sen. Pera il Papa auspica un “confronto pubblico” sulle “conseguenze culturali delle decisioni religiose di fondo”: ciascuna religione dà origine a una cultura; ogni popolo possiede una sua cultura; ebbene, il dialogo fra tali culture è non solo possibile, ma necessario, perché da esso possono derivare “una mutua correzione e un arricchimento vicendevole”.

mercoledì 12 ottobre 2011

L’assenso dell’intelletto alle verità rivelate

La fede è un faro che fa vedere lontano, la ragione è un piccolo lume che fa vedere molto di meno, ma che comunque fa vedere e non fa vedere cose contrarie a ciò che può far vedere la fede.

«Una vera valorizzazione della ragione rafforza la Fede non la indebolisce. Benedetto XVI lo ha detto più volte: ci sono due errori da evitare. Il primo è il concepire la ragione senza la fede, il secondo la fede senza la ragione. Due errori diametralmente diversi, eppure dalle conseguenze ugualmente gravi. Vediamo perché.
La ragione senza la fede consiste nell’ingigantire il valore della ragione fino a ritenerla unico strumento della conoscenza. La ragione è certamente importante, ma dovrebbe sempre essere consapevole dei suoi limiti per sapersi aprire al Mistero: questa è la vera razionalità. Quando invece la ragione presuntuosamente rinuncia a riconoscere i suoi limiti… allora finisce col pretendere di divenire unico criterio di giudizio.

mercoledì 5 ottobre 2011

“Mi sembra che voi non abbiate letto tutto il Vangelo”

Dall’incontro tra Frate Francesco [1182–1226] ed il Sultano al-Malik al-Kamil [1180–1238], avvenuto nel 1219, nei pressi di Damietta in Egitto.

«Il sultano gli sottopose anche un’altra questione: “Il vostro Signore insegna nei Vangeli che voi non dovete rendere male per male, e non dovete rifiutare neppure il mantello a chi vi vuol togliere la tonaca, ecc. Quanto più voi cristiani non dovreste invadere le nostre terre, ecc.”.

Rispose il beato Francesco: “Mi sembra che voi non abbiate letto tutto il Vangelo. Altrove, infatti, è detto: Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo lontano da te (Mt. 5,25). E con questo ha voluto insegnarci che se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell’occhio, dovremmo essere disposti a separarlo, ad allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tenta di allontanarci dalla fede e dall’amore del nostro Dio. Proprio per questo, i cristiani agiscono secondo giustizia quando invadono le vostre terre e vi combattono, perché voi bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla religione di lui quanti più uomini potete. Se invece voi voleste conoscere, confessare e adorare il Creatore e Redentore del mondo, vi amerebbero come se stessi”.
Tutti gli astanti furono presi da ammirazione per le risposte di lui.»

Fonti Francescane, Sezione Terza – Altre testimonianza francescane – 2691

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«Francesco d’Assisi è il prodotto più rappresentativo ed ortodosso della Chiesa delle crociate; non è affatto il personaggio che generalmente ci viene presentato adesso. Non era il precursore dei teologi della liberazione. Né tantomeno fu l’araldo di un cristianesimo dolciastro, melenso, ecologico-pacifista: il tipo che ride sempre, lo scemo del villaggio che parla con gli uccellini e fa amicizia con i lupi. Gli voglio troppo bene, a Francesco, per vederlo ridotto così dai suoi sedicenti seguaci. No, Francesco era ben altro.»

Franco Cardini – Medievista, storico delle crociate.

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sabato 1 ottobre 2011

L’ultimo pregiudizio accettabile

Ogni società non può fare a meno di una scala di valori condivisi. Metterli in discussione o, peggio, tentare di sovvertirli, è avvertito come un attentato contro le fondamenta stesse della società.

«Parlare di Inquisizione per uno studioso cattolico non è facile, perché la sensibilità contemporanea non ammette coazioni alla libertà di opinione. E a scuola l’Inquisizione ci è sempre stata descritta alla stregua di una Gestapo o di un Kgb, con l’aggravante odiosa che la coercizione veniva esercitata in nome di Cristo.
È difficile, poi, che un ragazzo di liceo si soffermi a riflettere sui disegni a corredo dell’argomento e che quasi sempre rappresentano frati tetramente incappucciati, intenti a torturare fanciulle ignude. Ci vorrebbe quello spirito critico che la scuola dovrebbe creare – ma che, ormai, fa di tutto per spegnere – per accorgersi che i disegni in questione provengono da luoghi e tempi in cui l’Inquisizione (quella cattolica, visto che raffigurano frati) non c’era.
Sull’Inquisizione, infatti, da secoli insiste una «leggenda nera» che ha finito col creare nei cattolici, comprese le gerarchie ecclesiastiche, un complesso di colpa nei confronti del laicismo, che ben altre inquisizioni ha inventato ma di cui non pensa neppure lontanamente a scusarsi.
I cattolici, oggi, si sono lasciati convincere che tutto il loro dovere debba consistere nel comportarsi con “amore”; la “giustizia” è, tutt’al più, lasciata al fai-da-te dei cosiddetti “preti di frontiera”, cui la codificata Dottrina Sociale della Chiesa il più delle volte sembra solo una fastidiosa ingerenza della Gerarchia; la “verità”, infine, semplicemente non esiste: la posizione cattolica non è che una delle tante in circolazione. Perciò, tutto l’insegnamento di Cristo si risolverebbe nel “porgi l’altra guancia”, altro che Inquisizione! Ed è veramente rarissimo sentirsi spiegare da qualche chierico che la “guancia” da “porgere” è la propria, non certo quella di coloro che si ha il dovere di difendere. Nessuno sarebbe così pazzo da pensare che un poliziotto cattolico debba porgere l’altra guancia a un ladro o a un assassino.