mercoledì 26 febbraio 2020

Quando ero un rivoluzionario marxista


Il giornalista e scrittore inglese Peter Jonathan Hitchens, militante in gioventù nel movimento trotzkista, sul settimanale conservatore The Mail on Sunday ha ricordato:

«Quando ero un rivoluzionario marxista, eravamo tutti a favore di più immigrazione possibile. Non perché ci piacessero gli immigrati, ma perché non ci piaceva come era la società britannica.
Abbiamo visto gli immigrati - da qualsiasi luogo - come alleati contro la società conservatrice che il nostro Paese era ancora alla fine degli anni Sessanta. Volevamo usarli come grimaldello.
Inoltre, ci piaceva sentirci “superiori” alle persone comuni - di solito delle zone più povere della Gran Bretagna - che videro i loro quartieri improvvisamente trasformati in presunte “comunità vibranti”.
Se avevano il coraggio di esprimere le obiezioni più miti, subito li accusavamo di razzismo. Era facile.

mercoledì 19 febbraio 2020

Diritto primario dell’uomo


Nel contesto socio-politico attuale […] prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra, ripetendo con il Beato Giovanni Paolo II che «diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione» (Discorso al IV Congresso mondiale delle Migrazioni, 1998).
Oggi, infatti, vediamo che molte migrazioni sono conseguenza di precarietà economica, di mancanza dei beni essenziali, di calamità naturali, di guerre e disordini sociali. Invece di un pellegrinaggio animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza, migrare diventa allora un «calvario» per la sopravvivenza, dove uomini e donne appaiono più vittime che autori e responsabili della loro vicenda migratoria.
Così, mentre vi sono migranti che raggiungono una buona posizione e vivono dignitosamente, con giusta integrazione nell’ambiente d’accoglienza, ve ne sono molti che vivono in condizioni di marginalità e, talvolta, di sfruttamento e di privazione dei fondamentali diritti umani, oppure che adottano comportamenti dannosi per la società in cui vivono.

venerdì 14 febbraio 2020

È il capitalismo


Non si ripeterà mai abbastanza che ciò che ha distrutto la famiglia nel mondo moderno è stato il capitalismo. Non vi è dubbio che anche il comunismo avrebbe potuto farlo, se mai avesse avuto l’occasione di uscire da quella landa desolata e semimongola in cui è fiorito. Eppure, per quanto ci riguarda, ciò che ha distrutto le famiglie, e incoraggiato i divorzi e trattato le antiche virtù domestiche con sempre maggior disprezzo, sono l’epoca capitalista e il potere del capitalismo.

È il capitalismo che ha instaurato una faida morale e una competizione di tipo commerciale tra i sessi; che ha distrutto l’influenza del genitore a favore di quella del datore di lavoro; che ha allontanato gli uomini dalle loro case in cerca di lavoro, costringendoli a vivere vicino alle fabbriche e alle aziende invece che vicino alle loro famiglie; soprattutto, è il capitalismo che ha incoraggiato, per motivi commerciali, l’esibizione pubblicitaria di scintillanti novità che, per la sua stessa natura, è la morte di ciò che le nostre madri e i nostri padri chiamavano «dignità», «modestia».

Chesterton, “Tre nemici della famiglia”

sabato 8 febbraio 2020

Il prezzo della sua tolleranza


La Chiesa di Cristo segue il cammino tracciatole dal divin Redentore. Essa si sente eterna; sa che non potrà perire, che le più violente tempeste non varranno a sommergerla.
Essa non mendica favori; le minacce e la disgrazia delle potestà terrene non la intimoriscono.
Essa non s’immischia in questioni meramente politiche od economiche, nè si cura di disputare sulla utilità o il danno dell’una o dell’altra forma di governo.
Sempre bramosa, per quanto da lei dipende, di aver pace con tutti (cfr. Rom. 12, 18), essa dà a Cesare ciò che gli compete secondo il diritto, ma non può tradire nè abbandonare ciò che è di Dio.

Ora è ben noto quel che lo Stato totalitario e antireligioso esige ed attende da lei come prezzo della sua tolleranza o del suo problematico riconoscimento.
Esso, cioè, vorrebbe :
- una Chiesa che tace, quando dovrebbe parlare;
- una Chiesa che indebolisce la legge di Dio, adattandola al gusto dei voleri umani, quando dovrebbe altamente proclamarla e difenderla;
- una Chiesa che si distacca dal fondamento inconcusso sul quale Cristo l’ha edificata, per adagiarsi comodamente sulla mobile sabbia delle opinioni del giorno o per abbandonarsi alla corrente che passa;
- una Chiesa che non resiste alla oppressione delle coscienze e non tutela i legittimi diritti e le giuste libertà del popolo;
- una Chiesa che con indecorosa servilità rimane chiusa fra le quattro mura del tempio, dimentica del divino mandato ricevuto da Cristo: Andate sui crocicchi delle strade (Matth. 22, 9); istruite tutte le genti (Matth. 28, 19).

Diletti figli e figlie!
Eredi spirituali di una innumerevole legione di confessori e di martiri!
È questa la Chiesa che voi venerate ed amate?
Riconoscereste voi in una tale Chiesa i lineamenti del volto della vostra Madre?
Potete voi immaginarvi un Successore del primo Pietro, che si pieghi a simili esigenze?

Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Decimo anno di Pontificato, 2 marzo 1948 - 1° marzo 1949, pp. 389 – 391 . In occasione dell’arresto e del processo al Cardinale Mindzenty.

sabato 1 febbraio 2020

Sia quello che dice il suo nome


La chiesa sia quello che dice il suo nome, quindi in essa non si faccia né si riponga altro.
Alla fine dell’Ufficio divino escano tutti in perfetto silenzio e con grande rispetto per Dio, in modo che, se un monaco volesse rimanere a pregare, privatamente, non sia impedito dall’indiscrezione altrui.

Se, però, anche in un altro momento qualcuno desidera pregare per proprio conto, entri senz’altro e preghi, non a voce alta, ma con lacrime e intimo ardore.

Perciò, come abbiamo detto, chi non intende dedicarsi all’orazione si guardi bene dal trattenersi in chiesa dopo la celebrazione del divino Ufficio, per evitare che altri siano disturbati dalla sua presenza.

(San Benedetto, Sancta Regula, Capitolo LII)