lunedì 30 giugno 2014
Bisogna salvare il seme
«Don Camillo spalancò le braccia [rivolto al crocifisso]: “Signore, cos’è questo vento di pazzia? Non è forse che il cerchio sta per chiudersi e il mondo corre verso la sua rapida autodistruzione?”.
“Don Camillo, perché tanto pessimismo? Allora il mio sacrificio sarebbe stato inutile? La mia missione fra gli uomini sarebbe dunque fallita perché la malvagità degli uomini è più forte della bontà di Dio?”.
“No, Signore. Io intendevo soltanto dire che oggi la gente crede soltanto in ciò che vede e tocca. Ma esistono cose essenziali che non si vedono e non si toccano: amore, bontà, pietà, onestà, pudore, speranza. E fede. Cose senza le quali non si può vivere. Questa è l’autodistruzione di cui parlavo. L’uomo, mi pare, sta distruggendo tutto il suo patrimonio spirituale. L’unica vera ricchezza che in migliaia di secoli aveva accumulato. Un giorno non lontano si troverà come il bruto delle caverne. Le caverne saranno alti grattacieli pieni di macchine meravigliose, ma lo spirito dell’uomo sarà quello del bruto delle caverne […] Signore, se è questo ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?”.
Il Cristo sorrise: “Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede e mantenerla intatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più, ogni giorno nuove anime inaridiscono perché abbandonate dalla fede. Ogni giorno di più uomini di molte parole e di nessuna fede distruggono il patrimonio spirituale e la fede degli altri. Uomini di ogni razza, di ogni estrazione, d’ogni cultura”.»
Giovannino Guareschi, Don Camillo e don Chichì, in Tutto Don Camillo. Mondo piccolo, II, BUR, Milano, 2008, pp. 3114-3115
::
mercoledì 25 giugno 2014
Un “bene comune”
«La parola della Scrittura è attuale per la Chiesa di ogni tempo così come rimane sempre attuale la possibilità per l’uomo di cadere in errore. È dunque attuale anche oggi l’ammonimento della seconda lettera di Pietro a guardarsi “dai falsi profeti e dai falsi maestri che introdurranno eresie perniciose” (2, 1). L’errore non è complementare alla verità.
Non si dimentichi che, per la Chiesa, la fede è un “bene comune”, una ricchezza di tutti, a cominciare dai poveri, i più indifesi davanti ai travisamenti: dunque, difendere l’ortodossia è, per la Chiesa, opera sociale a favore di tutti i credenti.
In questa prospettiva, quando si è davanti all’errore, non bisogna dimenticare che vanno tutelati i diritti del singolo teologo ma vanno tutelati anche i diritti della comunità. Naturalmente tutto va sempre visto alla luce del grande ammonimento evangelico: “verità nella carità”.
Anche per questo, quella scomunica in cui ancor oggi incorre l’eretico, è considerata come “sanzione medicinale”: una pena, cioè, che non vuole castigarlo quanto correggerlo, guarirlo. Chi si convince del suo errore e lo riconosce è sempre riaccolto a braccia aperte, come un figlio particolarmente caro, nella piena comunione della Chiesa».
“Rapporto sulla Fede”, Vittorio Messori intervista il Card. Ratzinger – 1985. Capitolo 1
::
mercoledì 18 giugno 2014
Un cannibale
Un cannibale è ingenuo: prima mangia qualche missionario, poi, avendo provato che in fin dei conti non sono così buoni da mangiare come lo sono da sentire, si mette ad ascoltarne la predicazione.
Ma con uno scristianizzato è molto dura: crede di sapere già chi è Cristo e quindi non ti ascolta più.
È la peggiore ignoranza!
Non quella del primitivo che sa di ignorare e giunge già alla sapienza più feconda, che è quella dell'ascolto. Ma quella del mezzo-sapiente, che crede di sapere mentre non sa, e quindi ignora di ignorare.
Fabrice Hadjaji, Come parlare di Dio oggi?
::
giovedì 12 giugno 2014
Sacrilegio
Oggi se pranza in piedi in ogni sito;
er vecchio tavolino apparecchiato,
che pareva un artare consacrato
nun s’usa più: la prescia l’ha abolito.
‘Na vorta er pranzo somijava a un rito,
t’accommodavi pracido e beato,
aprivi la sarvietta de bucato…
un grazie a Cristo e poi… bon appetito!
Nò nun c’è tempo de mettesse a sede,
la gente ha perso la cristianità
e magna senz’amore e senza fede.
È proprio un sacrilegio: invece io,
quanno me piazzo a sede pe’ magnà,
sento ch’esiste veramente Dio!
er vecchio tavolino apparecchiato,
che pareva un artare consacrato
nun s’usa più: la prescia l’ha abolito.
‘Na vorta er pranzo somijava a un rito,
t’accommodavi pracido e beato,
aprivi la sarvietta de bucato…
un grazie a Cristo e poi… bon appetito!
Nò nun c’è tempo de mettesse a sede,
la gente ha perso la cristianità
e magna senz’amore e senza fede.
È proprio un sacrilegio: invece io,
quanno me piazzo a sede pe’ magnà,
sento ch’esiste veramente Dio!
Di Aldo Fabrizi
::
giovedì 5 giugno 2014
Sussidiarietà e poliarchia
«Manifestazione particolare della carità e criterio guida per la collaborazione fraterna di credenti e non credenti è senz’altro il principio di sussidiarietà, espressione dell’inalienabile libertà umana. La sussidiarietà è prima di tutto un aiuto alla persona, attraverso l’autonomia dei corpi intermedi.
Tale aiuto viene offerto quando la persona e i soggetti sociali non riescono a fare da sé e implica sempre finalità emancipatrici, perché favorisce la libertà e la partecipazione in quanto assunzione di responsabilità. La sussidiarietà rispetta la dignità della persona, nella quale vede un soggetto sempre capace di dare qualcosa agli altri. Riconoscendo nella reciprocità l’intima costituzione dell’essere umano, la sussidiarietà è l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista.
Essa può dar conto sia della molteplice articolazione dei piani e quindi della pluralità dei soggetti, sia di un loro coordinamento. Si tratta quindi di un principio particolarmente adatto a governare la globalizzazione e a orientarla verso un vero sviluppo umano.
Per non dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico, il governo della globalizzazione deve essere di tipo sussidiario, articolato su più livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente.
La globalizzazione ha certo bisogno di autorità, in quanto pone il problema di un bene comune globale da perseguire; tale autorità, però, dovrà essere organizzata in modo sussidiario e poliarchico, sia per non ledere la libertà sia per risultare concretamente efficace».
Benedetto XVI Caritas in Veritate – 57
::
Iscriviti a:
Post (Atom)