lunedì 27 ottobre 2014
Hanno visto eppure hanno creduto
La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà.
Tutto sarà negato.
Tutto diventerà un credo.
Sarà una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle.
E una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli.
Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro.
Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto.
Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili.
Guarderemo l’erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio.
Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.
S’avvicina il tempo – e per alcuni è già venuto – in cui una vita normale, una vita da onest’uomo, richiederà sforzi da eroe.
Quale supremo dono della vita attraverso la morte è quest’obbligo di essere eroi soltanto per esistere, per restare fedeli a una banale linea di vita, che i nostri antenati seguivano così naturalmente come respiravano!
(Gilbert Keith Chesterton – 1874-1936, da “Eretici”)
lunedì 20 ottobre 2014
La verità dell'amore
«La luce dell’amore, propria della fede, può illuminare gli interrogativi del nostro tempo sulla verità.
La verità oggi è ridotta spesso ad autenticità soggettiva del singolo, valida solo per la vita individuale. Una verità comune ci fa paura, perché la identifichiamo con l’imposizione intransigente dei totalitarismi.
Se però la verità è la verità dell’amore, se è la verità che si schiude nell’incontro personale con l’Altro e con gli altri, allora resta liberata dalla chiusura nel singolo e può fare parte del bene comune.
Essendo la verità di un amore, non è verità che s’imponga con la violenza, non è verità che schiaccia il singolo. Nascendo dall’amore può arrivare al cuore, al centro personale di ogni uomo.
Risulta chiaro così che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro.
Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede.
Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti».
(Francesco - Lumen Fidei 34)
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martedì 14 ottobre 2014
Vi siete liquidati da soli
“Casa in distruzione è la sapienza per il fatuo, e parole disordinate la scienza per l’insensato”. (Eccl. 21,18)
Il commissario (ben intenzionato): “Compagno cristiano, mi puoi dire una buona volta chiaramente che cosa siete voi cristiani? Che cosa propriamente volete ancora nel nostro mondo? In che cosa vedete il vostro diritto all’esistenza? Qual è il vostro mandato?
Il cristiano: Anzitutto noi siamo uomini come tutti gli altri, che collaborano all’opera di edificazione del futuro.
Il commissario: La prima cosa la credo, la seconda la voglio sperare.
Il cristiano: Da qualche tempo noi siamo infatti “aperti al mondo”, ed alcuni di noi si sono persino seriamente “convertiti al mondo”.
Il commissario: Questo mi pare un sospetto linguaggio da prete. Sarebbe, infatti, ancor più bello se voi, “uomini come gli altri”, vi foste convertiti già prima ad un’esistenza degna di uomini. Ma veniamo al fatto. Perché siete ancora cristiani?
Il cristiano: Oggi noi siamo cristiani maturi, pensiamo ed agiamo con responsabilità morale.
Il commissario: Lo voglio sperare, dal momento che vi presentate come uomini. Ma credete qualcosa di particolare?
Il cristiano: Questo non è tanto importante; ciò che importa è la parola epocale; l’accento oggi cade sull’amore del prossimo. Chi ama il prossimo, ama Dio.
Il commissario: Nell’ipotesi che esista. Ma poiché non esiste, non l’amate.
Il cristiano: Lo amiamo implicitamente, in modo non oggettivo.
Il commissario: Ah, la vostra fede quindi non ha un oggetto. Andiamo avanti. La cosa diventa chiara.
Il cristiano: Non è del tutto così semplice. Noi crediamo in Cristo.
Il commissario: Ne ho già sentito parlare. Ma sembra che storicamente se ne sappia maledettamente poco.
Il cristiano: Concesso. Praticamente nulla. Perciò noi non crediamo tanto al Gesù storico quanto al Cristo del kerygma.
Il commissario: Che razza di parola è questa? Cinese?
Il cristiano: Greco. Significa la predicazione del messaggio. Noi ci sentiamo toccati dall’evento linguistico del messaggio della fede.
Il commissario: E che mai c’è in questo messaggio?
Il cristiano: L’importante è il modo in cui se n’è toccati. Ad uno può permettere il perdono dei peccati. Questa, in ogni caso, era l’esperienza della comunità primitiva. A ciò dev’essere stata indotta dagli eventi relativi al Gesù storico, del quale veramente non sappiamo abbastanza per essere certi che lui...
Il commissario: E questo chiamate la vostra conversione al mondo? Siete gli oscurantisti di sempre. È con simili chiacchiere prolisse che volete collaborare all’edificazione del mondo!
Il cristiano (gioca la sua ultima carta): Abbiamo Teilhard de Chardin, che in Polonia fa una grande impressione!
Il commissario: La facciamo già noi. Non abbiamo bisogno, per questo, di dipendere da voi. Ma è bello che anche voi siate giunti infine a tal punto; soltanto, liquidate definitivamente le carabattole mistiche, che non hanno nulla a che vedere con la scienza, e allora potremo discorrere tra noi dell’evoluzione. Nelle altre storie non entro. Se voi stessi ne sapete così poco, non siete più pericolosi. Con ciò ci risparmiate una pallottola. Abbiamo in Siberia dei campi molto utili, dove potrete dimostrare il vostro amore per gli uomini e collaborare validamente all’evoluzione. Là si ricaverà di più che sulle vostre cattedre tedesche.
Il cristiano (un po’ deluso): Voi sottovalutate la dinamica escatologica del cristianesimo. Noi prepariamo il futuro regno di Dio. Noi siamo la vera rivoluzione mondiale. Egalité, liberté, fraternité: questo è il nostro compito originario.
Il commissario: Peccato che altri abbiamo dovuto lottare per voi. Dopo, non è difficile essere presenti. Il vostro cristianesimo non vale un fico secco.
Il cristiano: Voi siete con noi! Io so chi siete. Tu pensi onestamente, sei un cristiano anonimo.
Il commissario: Non diventare insolente, giovanotto. Anch’io ora ne so abbastanza. Vi siete liquidati da soli, e con ciò ci risparmiate la persecuzione. Via.
(Hans Urs von Balthasar, “Cordula, ovverosia il caso serio”, Queriniana, 2008 (orig. 1966), pagg. 121-124)
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mercoledì 8 ottobre 2014
Un abbandono della verità
«Un Gesù che sia d'accordo con tutto e con tutti, un Gesù senza la sua santa ira, senza la durezza della verità e del vero amore, non è il vero Gesù come lo mostra la Scrittura, ma una sua miserabile caricatura.
Una concezione del “vangelo” dove non esista più la serietà dell'ira di Dio, non ha niente a che fare con la vangelo biblico.
Un vero perdono è qualcosa del tutto diverso da un debole lasciar correre.
Il perdono è esigente e chiede ad entrambi – a chi lo riceve ed a chi lo dona – una presa di posizione che concerne l'intero loro essere. Un Gesù che approva tutto è un Gesù senza la croce, perché allora non c'è bisogno del dolore della croce per guarire l'uomo.
Ed effettivamente la croce viene sempre più estromessa dalla teologia e falsamente interpretata come una brutta avventura o come un affare puramente politico.
La croce come espiazione, la croce come come “forma” del perdono e della salvezza non si adatta ad un certo schema del pensiero moderno.
Solo quando si vede bene il nesso fra verità ed amore, la croce diviene comprensibile nella sua vera profondità teologica. Il perdono ha a che fare con la verità e perciò esige la croce del Figlio ed esige la nostra conversione. Perdono è appunto restaurazione della verità, rinnovamento dell'essere e superamento della menzogna nascosta in ogni peccato.
Il peccato è sempre, per sua essenza, un abbandono della verità del proprio essere e quindi della verità voluta dal Creatore, da Dio».
(Da Joseph Ratzinger, “Guardare a Cristo”, pag. 76, Jaca Book 1986)
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mercoledì 1 ottobre 2014
Sulle ginocchia di sua madre
«Quello che chiamiamo uomo, cioè l'uomo morale, è forse formato a dieci anni; e se non lo è stato sulle ginocchia di sua madre, questa sarà sempre una grande sfortuna. Nulla può sostituire questa educazione.
Se la madre, soprattutto, ha creduto suo dovere imprimere profondamente sulla fronte del figlio il carattere divino, si può essere praticamente sicuri che la mano del vizio mai lo cancellerà.
Il giovane potrà senza dubbio allontanarsi; ma descriverà una curva rientrante che lo riporterà al punto da cui è partito».
(Joseph de Maistre – 1753-1821)
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