sabato 31 maggio 2014
La concezione idolatrica della democrazia
La tradizionale dottrina cattolica insegna che “la Chiesa non riprova nessuna delle varie forme di governo, purché adatte per sé a procurare il bene dei cittadini” (Leone XII, Encycl. «Libertas»).
Il grande Pio XII, di gloriosa e immortale memoria, nel celebre radiomessaggio “Benignitas et humanitas” del 24 dicembre 1944, esponeva quali sono le caratteristiche di una sana democrazia. Il Romano Pontefice tra l'altro affermò:
“Una sana democrazia, fondata sugl'immutabili principi della legge naturale e delle verità rivelate, sarà risolutamente contraria a quella corruzione, che attribuisce alla legislazione dello Stato un potere senza freni né limiti, e che fa anche del regime democratico, nonostante le contrarie ma vane apparenze, un puro e semplice sistema di assolutismo.
L'assolutismo di Stato (da non confondersi, in quanto tale, con la monarchia assoluta, di cui qui non si tratta) consiste infatti nell'erroneo principio che l'autorità dello Stato è illimitata, e che di fronte ad essa – anche quando dà libero corso alle sue mire dispotiche, oltrepassando i confini del bene e del male, - non è ammesso alcun appello ad una legge superiore e moralmente obbligante”.
Purtroppo, dobbiamo constatare che molta gente ha una concezione relativista della democrazia, basti pensare che l'abominevole crimine dell'aborto è considerato erroneamente “moralmente lecito” solo perché è stato legalizzato dai Parlamenti di numerosi Stati nazionali. Un delitto può essere legale per gli uomini, ma non lo sarà mai per Dio.
Ormai dilaga una concezione idolatrica della democrazia. Ecco cosa scriveva in proposito Padre Anselm Günthör:
“Nessuna forma di Stato e nessun sistema politico offrono di per sé la garanzia di un buon governo.
Tutto dipende dalla maturità, dalla formazione e dall’atteggiamento morale personale dei detentori del potere statale”.
[Quindi] è irragionevole e imprudente imporre la forma democratica di Stato a quei popoli, che non sono preparati a gestirla. [...] pur riconoscendo i vantaggi della forma democratica di Stato, [...] bisogna tener conto anche delle condizioni dei singoli popoli. […]
Il cristiano non può condividere il culto della democrazia.
Per “culto della democrazia” intendiamo la convinzione politica secondo la quale la forma democratica di Stato in quanto istituzione, di per sé e da sola, garantisce il benessere terreno. [...]
Ciò che è democratico equivale allora a progressista e a infallibilmente buono, mentre ciò che è non-democratico si identifica con il regresso e con l’inumano. [Questo] dogma universale e intollerante dell’odierno ordinamento sociale, […] questo culto della democrazia è pagano: fa di un’istituzione terrena un idolo e una dispensatrice di salvezza e si dimostra anche molto poco democratico e pericoloso”.
[cfr. “Chiamata e risposta”, Edizioni Paoline, Roma 1979, vol. III, pp. 267-270].
cordialiter.blogspot.it - 26 febbraio 2014
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sabato 24 maggio 2014
“Noi siamo orgogliosi”
«Noi siamo orgogliosi del fatto che mille anni fa' il nostro re, Santo Stefano, abbia fondato lo Stato ungherese su solide fondamenta, e reso il nostro paese parte dell'Europa cristiana (…)
Siamo orgogliosi che la nostra gente per secoli abbia difeso l'Europa in una serie di battaglie e arricchito i valori comuni dell'Europa con il suo talento e la sua diligenza.
Promettiamo di preservare il ruolo della Cristianità nella salvaguardia della nazione.
Siamo legati alle diverse tradizioni religiose del nostro paese.
Promettiamo di preservare l'unità intellettuale e spirituale della nostra nazione distrutta dalle tempeste del secolo scorso.
Le nazionalità che vivono con noi fanno parte della comunità politica ungherese e sono parti costitutive dello Stato.
Ci impegniamo a promuovere e a salvaguardare il nostro patrimonio, la nostra lingua unita, la cultura ungherese, le lingue e le culture delle nazionalità che vivono in Ungheria, insieme ai patrimoni artificiali e naturali del Bacino Carpatico.
Ci assumiamo la responsabilità dei nostri discendenti: proteggeremo inoltre le condizioni di vita delle future generazioni facendo uso prudente delle nostre risorse materiali, intellettuali e naturali.
Crediamo che la nostra cultura nazionale sia un ricco contributo alla diversità dell'unione europea.
Rispettiamo la libertà e la cultura di altre nazioni e ci impegniamo a cooperare con ogni nazione del mondo. (…)
Riteniamo che la famiglia e la nazione costituiscano la base della nostra coesistenza e che i nostri valori coesivi fondamentali siano la fedeltà la fede e l'amore. (…)
Onoriamo i risultati della nostra costituzione storica e onoriamo la Sacra Corona che rappresenta la continuità costituzionale dello Stato Ungherese e l'unità della nazione.
Non riconosciamo la sospensione della nostra costituzione storica dovuta alle occupazioni straniere. Neghiamo qualsiasi statuto di limitazioni per i crimini disumani commessi contro la nazione ungherese e i suoi cittadini sotto le dittature nazionali socialiste e comuniste.
Non riconosciamo la costituzione comunista del 1949, poiché fu la base del ruolo tirannico, la proclamiamo non valida.
Concordiamo con i membri del primo Parlamento libero che ha proclamato come sua decisione che la nostra attuale libertà risale alla Rivoluzione del 1956.
Datiamo la restaurazione dell'autodeterminazione della nostra nazione, persa il 19 marzo 1944, dal secondo giorno di maggio 1990, quando è stato formato il primo organismo liberamente eletto di rappresentazione popolare.
Consideriamo questa data come l'inizio della nuova democrazia del nostro Paese e dell'ordine costituzionale».
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Prologo della Costituzione Ungherese in vigore dal 1° Gennaio 2012.
domenica 18 maggio 2014
Er circolo del libbero pensiero
Un gatto bianco, ch’era presidente
der Circolo der Libbero Pensiero
sentì che un gatto nero,
libero pensatore come lui,
je faceva la critica
riguardo a la politica
ch’era contraria a li pensieri sui.
“Giacche nun badi alli fattacci tui,
- Je disse er gatto bianco inviperito -,
rassegnerai le proprie dimissione
e uscirai da le file der partito:
che qui la poi pensà liberamente
come te pare a te, ma a condizione
che t’associ a l’idee der presidente
e a le proposte de la commissione!”
“È vero, ho torto, ho aggito malamente…”
Rispose er gatto nero.
E pe restà ner Libero Pensiero
Da quela vorta nun pensò più gnente.
(Trilussa - 1920)
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domenica 11 maggio 2014
Scambiare la propria cecità con la morte di Dio
«Oggi la verità è in crisi. Alla verità oggettiva, che ci dà il possesso conoscitivo della realtà, si sostituisce quella soggettiva: l’esperienza, la coscienza, la libera opinione personale, quando non sia la critica della nostra capacità di conoscere, di pensare validamente.
La verità filosofica cede all’agnosticismo, allo scetticismo, allo «snobismo» del dubbio sistematico e negativo.
Si studia, si cerca per demolire, per non trovare.
Si preferisce il vuoto. Ce ne avverte il Vangelo: «Gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce» (Io. 3, 19).
E con la crisi della verità filosofica (oh! dov’è svanita la nostra sana razionalità, la nostra philosophia perennis?) la verità religiosa è crollata in molti animi, che non hanno più saputo sostenere le grandi e solari affermazioni della scienza di Dio, della teologia naturale, e tanto meno quelle della teologia della rivelazione; gli occhi si sono annebbiati, poi accecati; e si è osato scambiare la propria cecità con la morte di Dio.
Così la verità cristiana subisce oggi scosse e crisi paurose.
Insofferenti dell’insegnamento del magistero, posto da Cristo a tutela ed a logico sviluppo della sua dottrina, ch’è quella di Dio (Io. 7. 12; Luc. 10, 16; Marc. 16, 16), v’è chi cerca una fede facile vuotandola, la fede integra e vera, di quelle verità, che non sembrano accettabili dalla mentalità moderna, e scegliendo a proprio talento una qualche verità ritenuta ammissibile (selected faith); altri cerca una fede nuova, specialmente circa la Chiesa, tentando di conformarla alle idee della sociologia moderna e della storia profana (ripetendo l’errore d’altri tempi, modellando la struttura canonica della Chiesa secondo le istituzioni storiche vigenti); altri vorrebbero fidarsi d’una fede puramente naturalista e filantropica, d’una fede utile, anche se fondata su valori autentici della fede stessa, quelli della carità, erigendola a culto dell’uomo, e trascurandone il valore primo, l’amore e il culto di Dio; ed altri finalmente, con una certa diffidenza verso le esigenze dogmatiche della fede, col pretesto del pluralismo, che consente di studiare le inesauribili ricchezze delle verità divine e di esprimerle in diversità di linguaggio e di mentalità, vorrebbero legittimare espressioni ambigue ed incerte della fede, accontentarsi della sua ricerca per sottrarsi alla sua affermazione, domandare all’opinione dei fedeli che cosa vogliono credere, attribuendo loro un discutibile carisma di competenza e di esperienza, che mette la verità della fede a repentaglio degli arbitri più strani e più volubili.
Tutto questo avviene quando non si presta l’ossequio al magistero della Chiesa, con cui il Signore ha voluto proteggere le verità della fede (Cfr. Hebr. 13, 7; 9, 17).
Ma per noi che, per divina misericordia, possediamo questo scutum fidei, lo scudo della fede (Eph. 6, 16), cioè una verità difesa, sicura e capace di sostenere l’urto delle opinioni impetuose del mondo moderno (Cfr. Eph. 4, 14), una seconda questione si pone, quella del coraggio: dobbiamo avere, dicevamo, il coraggio della verità.
Non faremo adesso alcuna analisi su questa virtù morale e psicologica, che chiamiamo coraggio, e che tutti sappiamo essere una forza d’animo, che dice maturità umana, vigore di spirito ed ardimento di volontà, capacità d’amore e di sacrificio; noteremo soltanto che, una volta di più, l’educazione cristiana si dimostra una palestra di energia spirituale, di nobiltà umana, e di padronanza di sé, di coscienza dei propri doveri.
E aggiungeremo che questo coraggio della verità è domandato principalmente a chi della verità è maestro e vindice, esso riguarda anche tutti i cristiani, battezzati e cresimati; e non è un esercizio sportivo e piacevole, ma è una professione di fedeltà doverosa a Cristo e alla sua Chiesa, ed è oggi servizio grande al mondo moderno, che forse, più che noi non supponiamo, attende da ciascuno di noi questa benefica e tonificante testimonianza».
PAOLO VI - Udienza Generale, Mercoledì 20 maggio 1970.
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lunedì 5 maggio 2014
Gli occhi sulla meta
Un giovane monaco andò un giorno a trovare un vecchio monaco, carico di anni e di esperienza e gli disse: “Padre mio, spiegami come mai tanti vengono alla vita monastica e tanto pochi perseverano, tanti tornano indietro”.
Il monaco rispose: “Vedi, succede come quando un cane ha visto la lepre. Si mette a correre dietro la lepre e abbaia forte. Altri cani sentono il cane che abbaia correndo dietro alla lepre e anch'essi si mettono a correre: sono in tanti che corrono insieme, abbaiando, però uno solo ha visto la lepre, uno solo la segue con gli occhi. E a un certo punto, uno dopo l'altro, tutti quelli che non hanno veramente visto la lepre e corrono solo perché uno l'ha vista, si stancano, si sfiancano. Colui che invece ha fissato gli occhi sulla meta in maniera personale, arriva fino in fondo e acchiappa la lepre”.
E diceva: “Vedi, ai monaci accade così. Soltanto quelli che hanno fissato gli occhi veramente sulla persona di Gesù Cristo, nostro Signore crocefisso, arrivano fino in fondo”.
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