martedì 29 ottobre 2013
I comandamenti contestati
Viviamo in una società che non ha più le regole del gioco.
La gente è andata sempre contro i comandamenti di Dio, in tutte le epoche. Ma c’è una differenza.
Una volta si violavano, ma si accettavano i comandamenti come principi, come norma. Adesso sono contestati.
E senza regole è impossibile giocare anche a tressette, figuriamoci il gioco della vita. Questo è tremendo. […] Quando in una partita si incomincia a dire: si può fare tutto quello che si vuole, è ora di andare a casa. O ci si piglia a botte, o il gioco è terminato. É quello che sta capitando a noi.
Giacomo Biffi
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giovedì 24 ottobre 2013
La falsità è il marchio del diavolo
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Anche Giuda avrebbe potuto andarsene; anzi, avrebbe forse dovuto andarsene, se fosse stato onesto.
«Vedendo che molti dei suoi discepoli se ne andavano, Gesù si rivolse agli Apostoli dicendo: “Volete andarvene anche voi?” (Gv 6,67). Come in altri casi, è Pietro a rispondere a nome dei Dodici: “Signore, da chi andremo? - Anche noi possiamo riflettere: da chi andremo? - Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68-69).
Su questo passo abbiamo un bellissimo commento di Sant’Agostino, che dice, in una sua predica su Giovanni 6: “Vedete come Pietro, per grazia di Dio, per ispirazione dello Spirito Santo, ha capito? Perché ha capito? Perché ha creduto. Tu hai parole di vita eterna. Tu ci dai la vita eterna offrendoci il tuo corpo [risorto] e il tuo sangue, [Te stesso]. E noi abbiamo creduto e conosciuto. Non dice: abbiamo conosciuto e poi creduto, ma abbiamo creduto e poi conosciuto. Abbiamo creduto per poter conoscere; se, infatti, avessimo voluto conoscere prima di credere, non saremmo riusciti né a conoscere né a credere. Che cosa abbiamo creduto e che cosa abbiamo conosciuto? Che tu sei il Cristo Figlio di Dio, cioè che tu sei la stessa vita eterna, e nella carne e nel sangue ci dai ciò che tu stesso sei” (Commento al Vangelo di Giovanni, 27, 9). Così ha detto sant’Agostino in una predica ai suoi credenti.
Infine, Gesù sapeva che anche tra i dodici Apostoli c’era uno che non credeva: Giuda. Anche Giuda avrebbe potuto andarsene, come fecero molti discepoli; anzi, avrebbe forse dovuto andarsene, se fosse stato onesto. Invece rimase con Gesù. Rimase non per fede, non per amore, ma con il segreto proposito di vendicarsi del Maestro. Perché?
Perché Giuda si sentiva tradito da Gesù, e decise che a sua volta lo avrebbe tradito. Giuda era uno zelota, e voleva un Messia vincente, che guidasse una rivolta contro i Romani. Gesù aveva deluso queste attese.
Il problema è che Giuda non se ne andò, e la sua colpa più grave fu la falsità, che è il marchio del diavolo. Per questo Gesù disse ai Dodici: “Uno di voi è un diavolo!” (Gv 6,70).»
Benedetto XVI - Angelus, 26 agosto 2012
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venerdì 18 ottobre 2013
Dio spodestato, surrogato dall’uomo
Se, strappando la maschera alla rivoluzione, le chiederete: “Chi sei tu?” ella vi dirà:
“Io non sono ciò che si crede.
Di me parlano molti ed assai pochi mi conoscono.
Io non sono né il carbonarismo che cospira nell’ombra, né la sommossa che mugghia nelle contrade, né il cambiamento della monarchia in repubblica, né la sostituzione di una ad un’altra dinastia, né il momentaneo sconvolgimento dell’ordine pubblico.
Io non sono né gli urli dei Giacobini, né i furori della montagna, né i combattimenti delle barricate, né il saccheggio, né le arsioni, né la legge agraria, né la ghigliottina, né gli affogamenti.
Non sono né Marat, né Robespierre, né Babeuf, né Mazzini, né Kossuth. Costoro sono miei figli, ma essi non sono me.
Codeste cose sono opere mie, ma non sono me.
Codesti uomini e codeste cose sono fatti transitori, ed io sono uno stato permanente. Io sono l’odio di ogni ordine religioso e sociale che l’uomo non ha stabilito e nel quale esso non è re e Dio tutt’insieme: io sono la proclamazione dei diritti dell’uomo contro i diritti di Dio; sono la filosofia della ribellione, la politica della ribellione, la religione della ribellione: sono la negazione armata; sono la fondazione dello stato religioso e sociale sulla volontà dell’uomo in luogo della volontà di Dio; in una parola, io sono l’anarchia; perché io sono Dio spodestato, surrogato dall’uomo.
Ecco il motivo per cui mi chiamo Rivoluzione, cioè sconvolgimento, perché io colloco in alto chi, secondo le leggi eterne, dovrebbe stare in basso; e metto al basso chi dovrebbe stare in alto.
Da una lettera del capo vandeano François-Athanase de Charette de La Contrie (1793)
In: “La Rivoluzione. Notizie storiche sopra l’origine e la propagazione del male in Europa”. Mons. Jean-Joseph Gaume (1856).
L’essenza della Controrivoluzione:
La nostra Patria sono i nostri villaggi, i nostri altari, le nostre tombe, tutto ciò che i nostri padri hanno amato prima di noi.
La nostra Patria è la nostra fede, la nostra terra, il nostro re.
Ma la loro patria, che cos’è? Lo capite voi?
Vogliono distruggere i costumi, l’ordine, la Tradizione.
Allora, che cos’è questa patria che sfida il passato, senza fedeltà, senz’amore?
Questa patria di disordine e irreligione?
Per loro sembra che la patria non sia che un’idea; per noi è una terra.
Loro ce l’hanno nel cervello; noi la sentiamo sotto i nostri piedi, è più solida.
È vecchio come il diavolo il loro mondo che dicono nuovo e che vogliono fondare sull’assenza di Dio…
Si dice che siamo i fautori delle vecchie superstizioni… Fanno ridere!
Ma di fronte a questi demoni che rinascono di secolo in secolo, noi siamo la gioventù, signori!
Siamo la gioventù di Dio.
La gioventù della fedeltà.
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“Io non sono ciò che si crede.
Di me parlano molti ed assai pochi mi conoscono.
Io non sono né il carbonarismo che cospira nell’ombra, né la sommossa che mugghia nelle contrade, né il cambiamento della monarchia in repubblica, né la sostituzione di una ad un’altra dinastia, né il momentaneo sconvolgimento dell’ordine pubblico.
Io non sono né gli urli dei Giacobini, né i furori della montagna, né i combattimenti delle barricate, né il saccheggio, né le arsioni, né la legge agraria, né la ghigliottina, né gli affogamenti.
Non sono né Marat, né Robespierre, né Babeuf, né Mazzini, né Kossuth. Costoro sono miei figli, ma essi non sono me.
Codeste cose sono opere mie, ma non sono me.
Codesti uomini e codeste cose sono fatti transitori, ed io sono uno stato permanente. Io sono l’odio di ogni ordine religioso e sociale che l’uomo non ha stabilito e nel quale esso non è re e Dio tutt’insieme: io sono la proclamazione dei diritti dell’uomo contro i diritti di Dio; sono la filosofia della ribellione, la politica della ribellione, la religione della ribellione: sono la negazione armata; sono la fondazione dello stato religioso e sociale sulla volontà dell’uomo in luogo della volontà di Dio; in una parola, io sono l’anarchia; perché io sono Dio spodestato, surrogato dall’uomo.
Ecco il motivo per cui mi chiamo Rivoluzione, cioè sconvolgimento, perché io colloco in alto chi, secondo le leggi eterne, dovrebbe stare in basso; e metto al basso chi dovrebbe stare in alto.
Da una lettera del capo vandeano François-Athanase de Charette de La Contrie (1793)
In: “La Rivoluzione. Notizie storiche sopra l’origine e la propagazione del male in Europa”. Mons. Jean-Joseph Gaume (1856).
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L’essenza della Controrivoluzione:
La nostra Patria sono i nostri villaggi, i nostri altari, le nostre tombe, tutto ciò che i nostri padri hanno amato prima di noi.
La nostra Patria è la nostra fede, la nostra terra, il nostro re.
Ma la loro patria, che cos’è? Lo capite voi?
Vogliono distruggere i costumi, l’ordine, la Tradizione.
Allora, che cos’è questa patria che sfida il passato, senza fedeltà, senz’amore?
Questa patria di disordine e irreligione?
Per loro sembra che la patria non sia che un’idea; per noi è una terra.
Loro ce l’hanno nel cervello; noi la sentiamo sotto i nostri piedi, è più solida.
È vecchio come il diavolo il loro mondo che dicono nuovo e che vogliono fondare sull’assenza di Dio…
Si dice che siamo i fautori delle vecchie superstizioni… Fanno ridere!
Ma di fronte a questi demoni che rinascono di secolo in secolo, noi siamo la gioventù, signori!
Siamo la gioventù di Dio.
La gioventù della fedeltà.
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venerdì 11 ottobre 2013
Perché i cattivi prosperano e i buoni soffrono?
San Massimiliano Kolbe, il santo martire della fede e della carità sacrificatosi per un padre di famiglia nel lager di Auschwitz, spiegava che anche il peggiore degli uomini, almeno qualche volta nella vita, compie bene il proprio dovere o dimostra pietà verso il prossimo o fa qualche opera buona.
Se poi avrà vissuto talmente male da meritare l’inferno, quando Dio potrà ricompensarlo del poco bene che ha fatto? Non certo all’inferno, ma solo in questo mondo. Ecco perché spesso si vedono farabutti e mascalzoni che se la passano bene.
Inoltre, anche le persone migliori non sono mai esenti da qualche mancanza o da qualche azione cattiva, perché anche il giusto cade sette volte al giorno (Prov 24,16), perciò se Dio vuole abbreviare il loro purgatorio o ammetterli subito in paradiso, il “saldo dei conti” avverrà sulla terra, tramite la sofferenza.
Conclude il santo: «Non sono affatto da invidiare le persone cattive che godono una vita felice; costoro anzi dovrebbero temere fortemente che questo fatto possa essere già la ricompensa per quel poco di bene che essi operano».
Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oswiecim e beato della Chiesa, Vol. III, Città di Vita, Firenze 1978, p. 112.
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Se poi avrà vissuto talmente male da meritare l’inferno, quando Dio potrà ricompensarlo del poco bene che ha fatto? Non certo all’inferno, ma solo in questo mondo. Ecco perché spesso si vedono farabutti e mascalzoni che se la passano bene.
Inoltre, anche le persone migliori non sono mai esenti da qualche mancanza o da qualche azione cattiva, perché anche il giusto cade sette volte al giorno (Prov 24,16), perciò se Dio vuole abbreviare il loro purgatorio o ammetterli subito in paradiso, il “saldo dei conti” avverrà sulla terra, tramite la sofferenza.
Conclude il santo: «Non sono affatto da invidiare le persone cattive che godono una vita felice; costoro anzi dovrebbero temere fortemente che questo fatto possa essere già la ricompensa per quel poco di bene che essi operano».
Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oswiecim e beato della Chiesa, Vol. III, Città di Vita, Firenze 1978, p. 112.
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domenica 6 ottobre 2013
La pazienza di Dio
“Io sono il buon pastore… Io offro la mia vita per le pecore.” (Gv 10, 14s).
Non è il potere che redime, ma l’amore! Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore.
Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore. Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano la distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e alla liberazione dell’umanità.
Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza.
Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini.
Benedetto XVI – Omelia Domenica, 24 aprile 2005 Santa Messa imposizione del Pallio e consegna dell’Anello del Pescatore per l’inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma
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