Lettera Pastorale del Santo Padre Benedetto XVI ai Cattolici dell’Irlanda. 19 marzo 2010
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[Santità] Non è soltanto l’abuso in sé a sconvolgere [si parla della pedofilia nel clero], ma anche il modo in cui è stato gestito. Quelle azioni sono state sottaciute e nascoste per decenni. È una dichiarazione di fallimento per un’istituzione che sul suo vessillo ha scritto la parola amore.
È interessante, a questo proposito, quello che mi ha detto l’arcivescovo di Dublino. Diceva che il Diritto penale ecclesiastico sino alla fine degli anni Cinquanta ha funzionato; certo, non era completo - in molto lo si potrebbe criticare - ma in ogni caso veniva applicato. A partire dalla metà dagli anni Sessanta semplicemente non è stato più applicato. Dominava la convinzione che la Chiesa non dovesse essere una Chiesa di diritto, ma una Chiesa dell’amore; che non dovesse punire. Si spense in tal modo la consapevolezza che la punizione può essere un atto d’amore.
In quell’epoca anche persone molto capaci hanno subito uno strano oscuramento del pensiero.
Oggi dobbiamo imparare nuovamente che l’amore per il peccatore e l’amore per la vittima stanno nel giusto equilibrio per il fatto che io punisco il peccatore nella forma possibile ed appropriata. In questo senso nel passato c’è stata un’alterazione della coscienza per cui è subentrato un oscuramento del diritto e della necessità della pena. Ed in fin dei conti anche un restringimento del concetto di amore, che non è soltanto gentilezza e cortesia, ma che è amore nella verità. E della verità fa parte anche il fatto che devo punire chi ha peccato contro il vero amore.»
Tratto da: Luce del mondo. Il papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald. Libreria Editrice Vaticana, 2010.
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È interessante, a questo proposito, quello che mi ha detto l’arcivescovo di Dublino. Diceva che il Diritto penale ecclesiastico sino alla fine degli anni Cinquanta ha funzionato; certo, non era completo - in molto lo si potrebbe criticare - ma in ogni caso veniva applicato. A partire dalla metà dagli anni Sessanta semplicemente non è stato più applicato. Dominava la convinzione che la Chiesa non dovesse essere una Chiesa di diritto, ma una Chiesa dell’amore; che non dovesse punire. Si spense in tal modo la consapevolezza che la punizione può essere un atto d’amore.
In quell’epoca anche persone molto capaci hanno subito uno strano oscuramento del pensiero.
Oggi dobbiamo imparare nuovamente che l’amore per il peccatore e l’amore per la vittima stanno nel giusto equilibrio per il fatto che io punisco il peccatore nella forma possibile ed appropriata. In questo senso nel passato c’è stata un’alterazione della coscienza per cui è subentrato un oscuramento del diritto e della necessità della pena. Ed in fin dei conti anche un restringimento del concetto di amore, che non è soltanto gentilezza e cortesia, ma che è amore nella verità. E della verità fa parte anche il fatto che devo punire chi ha peccato contro il vero amore.»
Tratto da: Luce del mondo. Il papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald. Libreria Editrice Vaticana, 2010.
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