Fino a quale grado la Chiesa deve uniformarsi alle circostanze storiche e locali in cui svolge la sua missione?
Come deve premunirsi dal pericolo d'un relativismo che intacchi la sua fedeltà dogmatica e morale?
Ma come insieme farsi idonea a tutti avvicinare per tutti salvare, secondo l'esempio dell'Apostolo: Mi son fatto tutto a tutti, perché tutti io salvi?
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Non si salva il mondo dal di fuori; occorre, come il Verbo di Dio che si è fatto uomo, immedesimarsi, in certa misura, nelle forme di vita di coloro a cui si vuole portare il messaggio di Cristo, occorre condividere, senza porre distanza di privilegi, o diaframma di linguaggio incomprensibile, il costume comune, purché umano ed onesto, quello dei più piccoli specialmente, se si vuole essere ascoltati e compresi.Bisogna, ancor prima di parlare, ascoltare la voce, anzi il cuore dell'uomo; comprenderlo, e per quanto possibile rispettarlo e dove lo merita assecondarlo.
Bisogna farsi fratelli degli uomini nell'atto stesso che vogliamo essere loro pastori e padri e maestri.
Il clima del dialogo è l'amicizia. Anzi il servizio.
Tutto questo dovremo ricordare e studiarci di praticare secondo l'esempio e il precetto che Cristo ci lasciò.
Ma il pericolo rimane.
L'arte dell'apostolato è rischiosa.
La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in una attenuazione, in una diminuzione della verità.
Il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all'impegno verso la nostra fede.
L'apostolato non può transigere con un compromesso ambiguo rispetto ai principi di pensiero e di azione che devono qualificare la nostra professione cristiana.
L'irenismo e il sincretismo sono in fondo forme di scetticismo rispetto alla forza e al contenuto della Parola di Dio, che vogliamo predicare.
Solo chi è pienamente fedele alla dottrina di Cristo può essere efficacemente apostolo.
E solo chi vive in pienezza la vocazione cristiana può essere immunizzato dal contagio di errori con cui viene a contatto.
Beato Paolo VI, Lettera Enciclica Ecclesiam Suam, 6 agosto 1964.
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