giovedì 23 giugno 2016
Non si sopravvive alla perdita dei confini
Occorrerebbe riuscire a riflettere senza anatemi reciproci, cosa impossibile da sempre e ora di più, sull’assoluta insensatezza del discorso relativo all’abbattimento delle frontiere e cose così.
A suo tempo fu considerato un capolavoro il libro della Sontag, “La malattia come metafora”. Si fermava a certi aspetti. Ma rimanendo nella metafora, credo con qualche argomento legittimo, non c’è dubbio che le malattie sociali attuali sono quelle che rompono le membrane che garantiscono la differenziazione degli organi e quindi il loro corretto funzionamento.
Se viene meno la differenziazione e quindi vengono meno i confini tra un tessuto e l’altro dei mille che costituiscono gli organismi viventi l’organismo stesso precipita nel caos e nell’indifferenziato, si sperde e si consuma fallendo il suo scopo vitale che è la sopravvivenza. Estendere la metafora agli organismi storici e sociali non è un’ipotesi così peregrina. Anche delimitando fortemente la portata euristica complessiva del suo uso, ma le società sono anche organismi a loro modo viventi come lo sono i singoli organismi.
Mi viene da pensare che l’attuale moda, insensata, di chiedere l’abbattimento delle membrane, abbia un corrispettivo psicologico in una certa diffusa pretesa a evitare il confronto tra le differenze.
Devo garantire gli scambi, i traffici, i percorsi (un po’ il discorso che a suo tempo faceva Michel Serres), i transiti, Hermes, non annullare le mappe, cancellare i segnavia, i cippi e la segnaletica dei passaggi che la storia ha riversato sulla crosta terrestre come portato essenziale del processo di ominizzazione.
Anche se molti di questi segni indicano lo scontro, il sedimento doloroso della guerra e dei suoi lutti tremendi, un mondo in cui tutto questo fosse cancellato non restituirebbe giustizia alcuna ai morti che, non dimentichiamo, sono la maggioranza dell’umanità.
Ho avuto il cancro che è esattamente una malattia dell’interruzione degli scambi tra tessuti e all’interno dei tessuti. Il cancro è l’indifferenziato cellulare, è la caduta nella perdita delle barriere, della differenziazione. Non si sopravvive alla perdita dei confini. Devo avere rapporti con ciò che mi è esterno, che è esterno al tessuto, lo devo replicare correttamente, ma lo scambio non avviene nell’indifferenziato ma solo nella differenza e nel riconoscimento dei limiti. Tutto il contrario della predica domenicale dei nuovi sacerdoti.
Riccardo De Benedetti - 8 maggio 2016
Pubblicato da
Paolo Mitri
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