Questa esigenza è insita nell’uomo, in qualsiasi uomo, che riconosce così nella giustizia un valore da ricercare, rispettare, promuovere. Se, dunque, tocca al diritto regolare i comportamenti umani in tutte le relazioni sociali in modo che siano giusti, è evidente che c’è molto più diritto vissuto che diritto scritto o, peggio!, diritto violato e che, tutte le volte che ognuno di noi vive in modo giusto i suoi rapporti, il fenomeno giuridico è nel suo pieno vigore e la giustizia esplica il suo valore di motore della storia verso il compimento del disegno di Dio sull’umanità.
Il diritto è quindi così intimamente e fortemente legato all’esistenza stessa dell’uomo da poter essere definito come la “forma” dell’agire dell’uomo e delle sue relazioni. Da questa forma traggono la loro natura e la loro sostanza le regole, le istituzioni, i comportamenti, cioè le diverse forme nelle quali il diritto si esprime. […]
Nel mondo globalizzato assistiamo ad una sempre più grande frammentazione, nelle conoscenze, nei rapporti, nella vita quotidiana degli esseri umani che si ritrovano a vivere in questo villaggio globale gli uni accanto agli altri, ma non insieme con gli altri, anzi con la paura e la sfiducia negli altri e quindi in una profonda solitudine.
È in un certo senso la caratteristica della cultura moderna, sfociata in una crisi del pensiero, e quindi in una crisi di civiltà, che è stata definita epocale da Giovanni Paolo II.
In effetti si è venuto via via smarrendo il senso e il valore della relazione e quindi il senso del vivere; poiché la persona è relazione e la relazione genera vita; e, se non c’è la relazione, viene meno anche la persona: rimane l’individuo e l’individuo dice solitudine.
Vittima anch’esso di questa crisi culturale, il diritto è diventato sempre più il diritto dell’individuo, anzi degli individui, separati e isolati: non è il diritto della relazione, il diritto della persona. Ad esso viene chiesto di difendere la libertà degli individui e di risolvere i conflitti di libertà. È divenuto quindi strumento di risoluzione di conflitti, piuttosto che di edificazione della convivenza umana.
Ma come conciliare le libertà individuali in una sintesi superiore che porta alla comunione, nella quale e per la quale i soggetti possano vedere tutelate ed anzi potenziate le loro identità?
Ci sembra che l’unica risposta adeguata a questa esigenza si trovi in una visione del diritto che riconosca la sua dignità di mezzo indispensabile per contribuire a creare la comunione o a ristabilirla ove fosse stata rotta; esso stimola l’ansia di giustizia presente dentro di noi e ci aiuta a realizzarla; regola il rapporto entrando in esso per costituirlo rettamente, prima che curarlo nella sua patologia; ci insegna come vivere; ci avverte che alcuni comportamenti creano disunità; ci dà anche, nella gravità della sanzione prevista per essi, un certo criterio per misurare il grado della loro incidenza nella vita della comunità.
Ma quello che ci sembra importante sottolineare è che la comunione, l’unità – nella quale ravvisiamo il progetto di Dio sulla famiglia umana – non è qualcosa che annulla la persona, ma qualcosa in cui la persona si realizza. E questo perché è costitutivo dell’uomo essere in rapporto. […]»
Maria Voce. Dal discorso tenuto il 27 marzo 2009 in occasione del conferimento dell’Albo d’Onore dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza.
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