martedì 26 dicembre 2017

Conservare gli uomini nella fede


«La comunione con il Papa è di tipo diverso, e naturalmente anche l’appartenenza alla Chiesa. Tra quel miliardo e duecento milioni di persone ce ne sono molte che poi in realtà nel loro intimo non ne fanno parte.

Già ai suoi tempi, sant’Agostino diceva: molti che sembrano stare dentro, sono fuori; e molti che sembrano stare fuori, sono dentro. In una questione come la fede e l’appartenenza alla Chiesa Cattolica, il dentro e il fuori sono intrecciati misteriosamente.

Stalin aveva effettivamente ragione quando diceva che il Papa non ha divisioni e non può intimare o imporre nulla. Non possiede nemmeno una grande impresa, nella quale, per così dire, tutti i fedeli della Chiesa sarebbero suoi dipendenti o subalterni.
In questo senso, da un lato il Papa è una persona assolutamente impotente.

Dall’altro ha una grande responsabilità.
Egli è, in un certo senso, il capo, il rappresentante e allo stesso tempo il responsabile del fatto che quella fede che tiene uniti gli uomini sia creduta, che rimanga viva e che rimanga integra nella sua identità.
Ma unicamente il Signore ha il potere di conservare gli uomini nella fede».

Papa Benedetto XVI

mercoledì 20 dicembre 2017

Le cose sante


Poiché le cose sante devono essere trattate santamente, e questo è il Sacrificio più santo, la Chiesa Cattolica, perché esso potesse essere offerto e ricevuto degnamente e con riverenza, ha stabilito da molti secoli il sacro Canone, talmente puro da ogni errore, da non contenere niente, che non profumi estremamente di santità e di pietà, e non innalzi a Dio la mente di quelli che lo offrono, formato com’è dalle parole stesse del Signore, da quanto hanno trasmesso gli Apostoli e istituito piamente anche i santi Pontefici. [...]

Se qualcuno dirà che il Canone della Messa contiene degli errori, e che, quindi, bisogna abolirlo, sia anatema. [...]

Se qualcuno dirà che il rito della Chiesa Romana, secondo il quale parte del Canone e le parole della consacrazione si profferiscono a bassa voce, è da riprovarsi; o che la Messa debba essere celebrata solo nella lingua del popolo; o che nell’offrire il calice non debba esser mischiata l’acqua col vino, perché ciò sarebbe contro l’istituzione di Cristo, sia anatema.

(Conc. Trid., Sess. XXII, 17.9.1562, Decr. de ss. Missæ sacrif., cap. IV; cann. 6, 9)

giovedì 14 dicembre 2017

Un presunto conflitto


Leggiamo nel libro della Genesi: «Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti”» (Gn 2,16-17).
Con questa immagine, la Rivelazione insegna che il potere di decidere del bene e del male non appartiene all’uomo, ma a Dio solo.

L’uomo è certamente libero, dal momento che può comprendere ed accogliere i comandi di Dio. Ed è in possesso d’una libertà quanto mai ampia, perché può mangiare «di tutti gli alberi del giardino». Ma questa libertà non è illimitata: deve arrestarsi di fronte all’«albero della conoscenza del bene e del male», essendo chiamata ad accettare la legge morale che Dio dà all’uomo.

In realtà, proprio in questa accettazione la libertà dell’uomo trova la sua vera e piena realizzazione. Dio, che solo è buono, conosce perfettamente ciò che è buono per l’uomo, e in forza del suo stesso amore glielo propone nei comandamenti.
La legge di Dio, dunque, non attenua né tanto meno elimina la libertà dell’uomo, al contrario la garantisce e la promuove.

Ben diversamente però, alcune tendenze culturali odierne sono all’origine di non pochi orientamenti etici che pongono al centro del loro pensiero un presunto conflitto tra la libertà e la legge. Tali sono le dottrine che attribuiscono ai singoli individui o ai gruppi sociali la facoltà di decidere del bene e del male: la libertà umana potrebbe «creare i valori» e godrebbe di un primato sulla verità, al punto che la verità stessa sarebbe considerata una creazione della libertà. Questa, dunque, rivendicherebbe una tale autonomia morale che praticamente significherebbe la sua sovranità assoluta.

San Giovanni Paolo II – Veritatis Splendor

giovedì 7 dicembre 2017

Nove mesi


«Per fare il pane ci vogliono nove mesi», disse il padre. 
«A novembre il grano è seminato, a luglio mietuto e trebbiato». 
Il vecchio contò i mesi: «Novembre, dicembre, gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno, luglio. Fanno giusto nove mesi.

Per maturare l’uva ci vogliono anche nove mesi, da marzo a novembre». 
«Nove mesi?», domandò la madre. Non ci aveva mai pensato.
Ci vuole lo stesso tempo per fare un uomo.

(Ignazio Silone, Vino e pane, 1936).

venerdì 1 dicembre 2017

Con odio perfetto


Li odiavo con un odio perfetto. Che significa: Con un odio perfetto?
In loro io odiavo le colpe da loro commesse, ma amavo la creatura tua. Ecco come si odia con odio perfetto: non odiando la persona a causa dei suoi vizi e non amando i vizi in vista della persona.

Ed ora osserva come continua: Mi son diventati nemici. Nemici non soltanto di Dio ma suoi nemici personali. Lo dichiara espressamente.
Come, allora, metterà in pratica nei loro riguardi le parole che sopra diceva e cioè: Non ho forse odiato coloro che odiavano te? e insieme quelle del Signore che comanda: Amate i vostri nemici?
Come adempirà il suo dovere, se non ricorrendo a quell’odio perfetto, per il quale nei cattivi si odia il fatto che sono cattivi e si ama la loro condizione di uomini?

C’è un esempio che risale ai tempi del Vecchio Testamento quando a quel popolo carnale venivano applicate sanzioni e pene esterne: si tratta di un uomo, che per l’intelligenza [del mistero] apparteneva al Nuovo Testamento, dico di Mosè, servo di Dio. Come poteva egli odiare quanti erano caduti in peccato, se nello stesso tempo pregava per loro? … Li odiava con odio perfetto.

E per la perfezione del suo odio, pur odiando le colpe che puniva, amava l’essere umano per il quale pregava.

Sant’Agostino, Enarr. in psal. 138,28