lunedì 28 novembre 2011

Le derive omicide che attraversano la modernità

Il diavolo è un problema “secondario”, perché sappiamo già come andrà a finire; detto questo, si è passati come al solito da un eccesso all’altro: per secoli si è esagerato nel parlarne, ora si esagera tacendone.

«[…] Il cristianesimo non è un dualismo, un catarismo o uno gnosticismo, che crede nell’esistenza di due princìpi, quello del bene e quello del male. Noi crediamo che esiste un solo principio, Dio, e il cristiano è certo del fatto che la battaglia finale è già vinta e stravinta. Sappiamo che Satana non avrà l’ultima parola. Dunque, in un certo senso, quello del diavolo è un problema “secondario”, perché sappiamo già come andrà a finire, sappiamo che il primato di Dio non sarà mai insidiato. Detto questo, si è passati come al solito da un eccesso all’altro: per secoli si è esagerato nel parlarne, ora si esagera tacendone.
Gli uomini […] hanno bisogno del diavolo, per poter attribuire a lui il male del mondo. Quando è cominciato a venire meno il credere nell’esistenza del demonio, si è finito per scaricare la responsabilità del male su altri colpevoli, su categorie di persone. La Rivoluzione francese considerava il diavolo l’aristocrazia. Il marxismo predicava che il diavolo era la borghesia. Il nazismo ha considerato gli ebrei come l’elemento negativo del mondo… Bisogna invece, […] ridare posto al diavolo, per evitare le derive omicide che attraversano la modernità, perché gli uomini finiranno sempre per trovare qualcosa o qualcuno che lo sostituisca, finendo per commettere genocidi. In ogni caso, niente paura: Gesù Cristo, attraverso la Chiesa e i suoi sacramenti, ci ha fornito di tutti gli strumenti per sconfiggere il Signore delle Tenebre.»

Vittorio Messori: “A Tavola” del 26 febbraio 2011 – Rubrica settimanale de “La Bussola Quotidiana”.


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lunedì 21 novembre 2011

L’amore per i fratelli defunti

Un episodio, impressionante e commovente ad un tempo; a proposito di sacrileghi detentori dei beni dei defunti, si legge nella vita di Rabano Mauro, scritta dal Triternio. Rabano Mauro, che fu prima abate del celebre monastero di Fulda, e più tardi arcivescovo di Magonza, ardeva di carità e di zelo pei defunti.

«Secondo le costituzioni dell’Ordine di S. Benedetto allorchè un monaco passa all’altra vita, per trenta giorni continui vien distribuita la sua porzione di cibo ai poveri, in suffragio dell’anima sua. Or accadde che nell’anno 830, avendo una pestilenza rapito moltissimi monaci, fra i quali un superiore, Rabano Mauro, fatto chiamare Edelardo, procuratore del monastero, lo incaricò di far distribuire ai poveri le solite razioni e gli raccomandò di non mancare, poiché Iddio lo avrebbe altrimenti punito severamente. Ma siccome anche nel chiostro trova albergo talvolta l’avarizia, Edelardo contravvenne agli ordini del superiore.

Una sera in cui le soverchie faccende lo avevano costretto a vegliare oltre il tempo prescritto dalla regola, nel recarsi alla stanza da letto, attraversando la sala del Capitolo, vide con grande stupore l’Abate, circondato dai monaci, tenere adunanza. Avvicinatosi per accertarsi dello strano caso, trovò non già l’Abate vivente, ma il superiore defunto insieme con tutti gli altri monaci periti nella pestilenza, due dei quali, scesi dai loro stalli gli si fecero incontro e spogliatolo dei suoi abiti, dietro ordine del superiore lo disciplinarono aspramente, gridando: "Ricevi, o disgraziato, il castigo della tua avarizia; e sappi che questo è nulla a paragone di quel che ti aspetta nell’altra vita. Tu scenderai fra tre giorni nella tomba, e tutti i suffragi che sarebbero dovuti all’anima tua saranno invece applicati a coloro che la tua schifosa avarizia ha privato dei loro".

A mezzanotte quando i monaci scesero in coro per cantare mattutino avendo trovato Edelardo disteso in un lago di sangue e ricoperto di ferite, gli si fecero intorno e con ogni cura lo trasportarono all’infermeria; ma egli con voce morente disse: "Affrettatevi a chiamare il mio superiore, poiché ormai ho più bisogno dei rimedi spirituali che di quelli temporali. Queste mie membra lacere e peste non guariranno mai più e mi accompagneranno fra breve al sepolcro".

Essendo indi sopraggiunto l’Abate, gli raccontò in presenza dei confratelli il terribile avvenimento, confermato dalla verità delle sue ferite, e tre giorni dopo, ricevuti i Sacramenti con viva contrizione e pietà, passò di questa vita. Venne subito cantata la Messa di requie in suo suffragio, nonchè le altre trenta prescritte dalla regola, e per un mese intero fu esattamente distribuita ai poveri la sua porzione; in capo al qual tempo il defunto essendo comparso pallido e sfigurato a Rabano Mauro, questi gli chiese se si potesse far per lui qualche bene onde liberarlo da tanto soffrire. Ma quegli rispose: "O mio buon Padre, vi ringrazio delle premure vostre e di quelle dei vostri monaci, ma vi annunzio che tutti i suffragi fatti per me fino ad ora non hanno giovato a liberarmi dalle mie pene, avendoli la divina giustizia applicati a quei miei confratelli che io vivendo privai dei loro. Vi supplico adunque di raddoppiare preghiere ed elemosine, affinchè dopo liberati essi, possa anch’io uscire di questo carcere".

Essendosi allora continuato con più fervore da tutta quella comunità a pregare e a far elemosina per Edelardo, in capo al secondo mese apparve di nuovo tutto vestito di bianco e col volto sorridente, dicendo che la sua espiazione e quella dei suoi confratelli era compiuta, e che se ne saliva felicemente al cielo».

mercoledì 16 novembre 2011

In nessun altro luogo

Nel Crocifisso si può capire quanto valga l’uomo; Dio ci vede così importanti da essere degni della sua sofferenza.

«[…] La visione del Crocifisso ispira ad Antonio [di Padova] pensieri di riconoscenza verso Dio e di stima per la dignità della persona umana, così che tutti, credenti e non credenti, possano trovare nel Crocifisso e nella sua immagine un significato che arricchisce la vita.
Scrive sant’Antonio:
“Cristo, che è la tua vita, sta appeso davanti a te, perché tu guardi nella croce come in uno specchio. Lì potrai conoscere quanto mortali furono le tue ferite, che nessuna medicina avrebbe potuto sanare, se non quella del sangue del Figlio di Dio. Se guarderai bene, potrai renderti conto di quanto grandi siano la tua dignità umana e il tuo valore… In nessun altro luogo l’uomo può meglio rendersi conto di quanto egli valga, che guardandosi nello specchio della croce” (Sermones Dominicales et Festivi III, pp. 213-214).
Meditando queste parole possiamo capire meglio l’importanza dell’immagine del Crocifisso per la nostra cultura, per il nostro umanesimo nato dalla fede cristiana. Proprio guardando il Crocifisso vediamo, come dice sant’Antonio, quanto grande è la dignità umana e il valore dell’uomo. In nessun altro punto si può capire quanto valga l’uomo, proprio perché Dio ci rende così importanti, ci vede così importanti, da essere, per Lui, degni della sua sofferenza; così tutta la dignità umana appare nello specchio del Crocifisso e lo sguardo verso di Lui è sempre fonte del riconoscimento della dignità umana

Dalla Catechesi di Benedetto XVI all’Udienza Generale del 10 febbraio 2010


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venerdì 11 novembre 2011

Dio si è mostrato in Cristo

È importante non creare l’idea che il Cristianesimo sia un pacchetto immenso di cose da imparare. Ultimamente è semplice: Dio si è mostrato in Cristo.

«“Non mi sono mai tirato indietro da ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi” (At. 20,20). San Paolo ritorna, dopo alcune frasi, di nuovo su questo punto e dice: “Non mi sono sottratto al dovere di annunciarvi tutta la volontà di Dio” (At. 20,27). Questo è importante: l’Apostolo non predica un Cristianesimo “à la carte”, secondo i propri gusti, non predica un Vangelo secondo le proprie idee teologiche preferite; non si sottrae all’impegno di annunciare tutta la volontà di Dio, anche la volontà scomoda, anche i temi che personalmente non piacciono tanto. È la nostra missione di annunciare tutta la volontà di Dio, nella sua totalità e ultima semplicità.
Ma è importante il fatto che dobbiamo istruire e predicare – come dice qui san Paolo – e proporre realmente la volontà intera di Dio. E penso che il mondo di oggi sia curioso di conoscere tutto, tanto più dovremmo essere curiosi noi di conoscere la volontà di Dio: che cosa potrebbe essere più interessante, più importante, più essenziale per noi che conoscere cosa vuole Dio, conoscere la volontà di Dio, il volto di Dio? Questa curiosità interiore dovrebbe essere anche la nostra curiosità di conoscere meglio, in modo più completo, la volontà di Dio. Dobbiamo rispondere e svegliare questa curiosità negli altri: di conoscere veramente tutta la volontà di Dio e di conoscere così come possiamo e come dobbiamo vivere, qual è la strada della nostra vita.
Quindi dovremmo far conoscere e capire – per quanto possiamo – il contenuto del Credo della Chiesa, dalla creazione fino al ritorno del Signore, al mondo nuovo. La dottrina, la liturgia, la morale, la preghiera – le quattro parti del Catechismo della Chiesa Cattolica – indicano questa totalità della volontà di Dio.
E anche è importante non perderci nei dettagli, non creare l’idea che il Cristianesimo sia un pacchetto immenso di cose da imparare. Ultimamente è semplice: Dio si è mostrato in Cristo. Ma entrare in questa semplicità – io credo in Dio che si mostra in Cristo e voglio vedere e realizzare la sua volontà – ha contenuti, e, a seconda delle situazioni, entriamo poi in dettaglio o meno, ma è essenziale che si faccia capire da una parte la semplicità ultima della fede.
Credere in Dio come si è mostrato in Cristo, è anche la ricchezza interiore di questa fede, le risposte che dà alle nostre domande, anche le risposte che in un primo momento non ci piacciono e che sono tuttavia la strada della vita, la vera strada; in quanto entriamo in queste cose anche non così piacevoli per noi, possiamo capire, cominciamo a capire che è realmente la verità. E la verità è bella. La volontà di Dio è buona, è la bontà stessa.»

Benedetto XVI - Incontro con i parroci e i sacerdoti della Diocesi di Roma. 10 Marzo 2011

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venerdì 4 novembre 2011

Ripara la mia Chiesa in rovina

Innocenzo III era un Papa potente, di grande cultura teologica, come pure di grande potere politico, tuttavia non è lui a rinnovare la Chiesa, ma il piccolo e insignificante religioso: è san Francesco, chiamato da Dio.

«“Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina”. Questo semplice avvenimento della parola del Signore udita nella chiesa di S. Damiano nasconde un simbolismo profondo. Immediatamente san Francesco è chiamato a riparare questa chiesetta, ma lo stato rovinoso di questo edificio è simbolo della situazione drammatica e inquietante della Chiesa stessa in quel tempo, con una fede superficiale che non forma e non trasforma la vita, con un clero poco zelante, con il raffreddarsi dell’amore; una distruzione interiore della Chiesa che comporta anche una decomposizione dell’unità, con la nascita di movimenti ereticali.
Tuttavia, in questa Chiesa in rovina sta nel centro il Crocifisso e parla: chiama al rinnovamento, chiama Francesco ad un lavoro manuale per riparare concretamente la chiesetta di san Damiano, simbolo della chiamata più profonda a rinnovare la Chiesa stessa di Cristo, con la sua radicalità di fede e con il suo entusiasmo di amore per Cristo.
Questo avvenimento, accaduto probabilmente nel 1205, fa pensare ad un altro avvenimento simile verificatosi nel 1207: il sogno del Papa Innocenzo III. Questi vede in sogno che la Basilica di San Giovanni in Laterano, la chiesa madre di tutte le chiese, sta crollando e un religioso piccolo e insignificante puntella con le sue spalle la chiesa affinché non cada. È interessante notare, da una parte, che non è il Papa che dà l’aiuto affinché la chiesa non crolli, ma un piccolo e insignificante religioso, che il Papa riconosce in Francesco che Gli fa visita. Innocenzo III era un Papa potente, di grande cultura teologica, come pure di grande potere politico, tuttavia non è lui a rinnovare la Chiesa, ma il piccolo e insignificante religioso: è san Francesco, chiamato da Dio.
Dall’altra parte, però, è importante notare che san Francesco non rinnova la Chiesa senza o contro il Papa, ma solo in comunione con lui. Le due realtà vanno insieme: il Successore di Pietro, i Vescovi, la Chiesa fondata sulla successione degli Apostoli e il carisma nuovo che lo Spirito Santo crea in questo momento per rinnovare la Chiesa. Insieme cresce il vero rinnovamento.»

Dalla Catechesi di Benedetto XVI all’Udienza Generale del 27 gennaio 2010


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