venerdì 26 ottobre 2012

Una deformazione visiva


Il cattolico progressista negli scritti di Padre Antonio Messineo 2/2.

«Non ultima tra le note che contrassegnano il progressismo moderno è la sua spiccata simpatia verso il comunismo e il marxismo in genere. A questo lo conduce non solo l’irenismo [...] e il conseguente desiderio di aprire il colloquio con tutte le correnti moderne, ma anche una valutazione almeno parzialmente positiva dell’ideologia marxista. L’occhio del progressista è volto invariabilmente a sinistra, perché nelle istanze delle correnti che si allineano da questo lato, a causa di una deformazione visiva avveratasi nel suo spirito, egli crede di scorgere dei contatti e somiglianze con le istanze del proprio credo religioso e delle sue convinzioni morali e sociali.
Riguardo al comunismo il progressista deplora il sostrato materialista dell’ideologia su cui si appoggia e il suo conseguente ateismo, ma, fatta questa riserva indispensabile per salvare la fede cristiana, ne accoglie i postulati e li fa propri, non escludendo un’eventuale collaborazione per la loro attuazione. Il comunismo, afferma, è ormai una forza, un movimento della storia, una molla propulsiva nella moderna società occorre, quindi, valutarlo per quello che è e riconciliare con esso il pensiero cristiano.
La divisione manicaica, come viene chiamata, tra un mondo che è tutto male e un mondo dove unicamente si trova il bene, dev’essere superata con una reciproca comprensione, per non mettersi fuori del ciclo della storia e appianare i contrasti con la pacificazione. L’incontro è possibile, aggiunge, intorno a quel nucleo di valori cristiani di cui sarebbe portatore anche il comunismo, sebbene siano deformati dalle sue sovrastrutture ideologiche.
Perciò il progressista è l’uomo della distensione, è un fautore convinto della mano tesa, un promotore del colloquio con le correnti marxiste, quando addirittura non ne è un seguace e un sostenitore, senza tuttavia aderirvi come gregario, per qualche residuo di incrinatura tra la sua visione del mondo e quella propagata dal comunismo.
Non di rado non osa spingersi fino a questi limiti, ma, mentre rigetta il comunismo in quanto tale, dinanzi al quale trova eretta la barriera dell’insegnamento esplicito della Chiesa, non disdegna di pensare, come a gradite alleate, alle altre correnti marxiste, con le quali andrebbe volentieri insieme sul piano politico e sociale.
Lo strano si è che, mentre il progressismo postula il superamento della distinzione manicaica tra comunismo, marxismo e cristianesimo, con un’intesa e una coesistenza appoggiata sulla distensione, questa medesima opposizione inconciliabile introduce tra il cristianesimo e le correnti che esso bolla col denominativo sprezzante di destra reazionaria.
Il principio del male per lui si è condensato nella destra, baratro oscuro di forze reazionarie in agguato, entro il quale egli getta, con sentenza inappellabile, quanti sono contrari alle idee e alle tendenze progressiste.»

Antonio Messineo, “Civiltà Cattolica”: Il progressismo contemporaneo, q. 2537 (1950).

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Antonio Messineo (1897-1978) della Compagnia di Gesù, ordinato sacerdote nel 1930, fu dal 1931 alla morte uno dei più qualificati scrittori della “Civiltà Cattolica” nel campo delle scienze sociali e morali e del diritto internazionale. Rappresentò la Santa Sede nella Conferenza Internazionale di Vienna (1968-1969). Tra le sue opere, si veda La nazione (La Civiltà Cattolica, Roma 1942) e Il diritto internazionale nella dottrina cattolica (La Civiltà Cattolica, Roma 1942). Su di lui, si veda Domenico Mondrone s.j., Ricordo del padre Antonio Messineo, in “Civiltà Cattolica”, q. 4071 (1978), pp. 468-473.

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sabato 20 ottobre 2012

Il criterio ondeggiante di una verità relativa


Il cattolico progressista negli scritti di Padre Antonio Messineo 1/2.

«Il progressismo moderno se non è nella sua sostanza un modernismo riverniciato, si può molto bene paragonare a quella corrente, della quale ad alcuni, forse non del tutto a torto, sembra una propaggine.
Il modernismo pretese rinnovare il domma, vuotandolo di contenuto trascendente, dopo averlo sommerso nell’onda mobile del relativismo storicista; fece appello al soggettivismo e col metro dei sentimenti volle stabilire la verità e trovare il collegamento con la divinità; fu insieme razionalista e scettico sui poteri della ragione e soprattutto antiautoritario, e su questi binari procedette a una revisione radicale, distruggendo tutto un passato di gloriosa e feconda speculazione dottrinale, per adeguarsi al cosi detto pensiero moderno e alle pretese esigenze del progresso intellettuale contemporaneo.
Il progressismo, in verità, porta in se stesso impressi alcuni dei connotati descritti.
È storicista chi crede all’evoluzione incessante della verità e delle forme istituzionali, in cui s’inquadra la vita della Chiesa e la vita sociale civile; è razionalista, umanitario e naturalista, e pretende, così come il modernismo, rivedere dalle fondamenta gli atteggiamenti teorici e gli insegnamenti pratici, che sono patrimonio consolidato di una lunga serie di anni e di esperienze feconde nel pensiero e nella prassi.
Nei suoi enunziati mantiene un piglio di superiore autosufficienza, come interprete qualificato e indipendente delle esigenze della vita intellettuale e sociale del tempo presente, che soltanto i suoi fautori comprenderebbero a pieno, mentre gerarchia e maestri, ancora fermi alle posizioni tradizionali, sarebbero fuori fase e, se non ottusi, almeno sviati da un conservatorismo retrivo e mortificante.
Il progressista sa, conosce, giudica con un criterio suo proprio, che poi non è altro se non il criterio ondeggiante di una verità relativa, diversa nei vari periodi della storia, e, per il tempo presente, il pensiero così detto moderno, la società moderna, le tendenze spirituali moderne, in una parola il così detto progresso moderno. Donde poi deriva il suo nome, che esprime e la tendenza ad un adeguamento con esso e la spinta a procedere innanzi, nella riforma dei principi e della prassi, secondo le direttive dal medesimo tracciate.»

Antonio Messineo, “La Civiltà Cattolica”: Il progressismo contemporaneo, q. 2537 (1950), pp. 498-499.

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lunedì 15 ottobre 2012

Il risveglio della ragione e dell’antica fede


«Sul quotidiano Avvenire in data 27 maggio 1990 comparve una mia ampia intervista. […] Mi fu chiesto con molto candore e con invidiabile ottimismo: “Ritiene anche lei che l’Europa o sarà cristiana o non sarà?”.
Io penso - dicevo - che l’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana.
Ciò che mi pare senza avvenire è la “cultura del niente”, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l’atteggiamento largamente dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità.
Questa cultura del niente (sorretta dall'edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’Islam, che non mancherà: solo la riscoperta dell’avvenimento cristiano come unica salvezza per l’uomo - e quindi solo una decisa resurrezione dell’antica anima dell’Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto.

Purtroppo né i “laici” né i “cattolici” pare si siano resi conto del dramma che si sta profilando.

I “laici”, osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l’ispiratrice più forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità e di libertà: potrebbero accorgersene troppo tardi.
I “cattolici”, lasciando sbiadire in se stessi la consapevolezza della verità posseduta e sostituendo all’ansia apostolica il puro e semplice “dialogo” ad ogni costo, inconsciamente preparano (umanamente parlando) la propria estinzione.
La speranza è che la gravità della situazione possa a un certo momento portare a un efficace risveglio sia della ragione che dell’antica fede.»

Giacomo Biffi. Memorie e digressioni di un italiano cardinale, Cantagalli - 2007.


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lunedì 8 ottobre 2012

«Hai creato sanabili le nazioni»


Dio è buono, solo buono, senza ombra di male. Anche l’essere quindi non è un misto di bene e male; l’essere come tale è buono e perciò è bene essere, è bene vivere. Questo è il lieto annuncio della fede: c’è solo una fonte buona, il Creatore.

«Ma come uomini di oggi dobbiamo domandarci: che cosa è questo peccato originale? Che cosa insegna san Paolo, che cosa insegna la Chiesa? È ancora oggi sostenibile questa dottrina?
Molti pensano che, alla luce della storia dell’evoluzione, non ci sarebbe più posto per la dottrina di un primo peccato, che poi si diffonderebbe in tutta la storia dell’umanità. E, di conseguenza, anche la questione della Redenzione e del Redentore perderebbe il suo fondamento. Dunque, esiste il peccato originale o no?


Per poter rispondere dobbiamo distinguere due aspetti della dottrina sul peccato originale. Esiste un aspetto empirico, cioè una realtà concreta, visibile, direi tangibile per tutti. E un aspetto misterico, riguardante il fondamento ontologico di questo fatto.
Il dato empirico è che esiste una contraddizione nel nostro essere. Da una parte ogni uomo sa che deve fare il bene e intimamente lo vuole anche fare. Ma, nello stesso tempo, sente anche l’altro impulso di fare il contrario, di seguire la strada dell’egoismo, della violenza, di fare solo quanto gli piace anche sapendo di agire così contro il bene, contro Dio e contro il prossimo. San Paolo nella sua Lettera ai Romani ha espresso questa contraddizione nel nostro essere così: “C’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (7, 18–19). Questa contraddizione interiore del nostro essere non è una teoria. Ognuno di noi la prova ogni giorno. E soprattutto vediamo sempre intorno a noi la prevalenza di questa seconda volontà. Basta pensare alle notizie quotidiane su ingiustizie, violenza, menzogna, lussuria. Ogni giorno lo vediamo: è un fatto.
Come conseguenza di questo potere del male nelle nostre anime, si è sviluppato nella storia un

martedì 2 ottobre 2012

«Noi siamo la libertà!»


«Il male di questo mondo è di origine angelica e perciò non può essere espresso in lingua umana». (Léon Bloy)

Iddio creò sterminate schiere di Angeli, cioè di Puri Spiriti, dotati di grande intelligenza e di forte volontà. Il Cielo si popolò in un attimo di questi esseri beati, che lodavano il Creatore e nello stesso tempo godevano di perfetta felicità.
L’Angelo più bello era Lucifero, o Apportatore di luce, il quale, per così dire, eclissava gli altri col suo splendore.
 

Iddio, che è giusto, volle mettere alla prova la loro fedeltà, esigendo dagli Angeli un atto particolare di umile sudditanza. Secondo S. Tommaso d’Aquino e secondo i più celebri Padri della Chiesa, la prova fu questa: la Seconda Persona Divina, il Figlio Eterno del Padre, Gesù Cristo, nella pienezza dei tempi si sarebbe fatto uomo, pur restando vero Dio, e tutti gli Angeli lo avrebbero dovuto adorare, pur vedendolo rivestito di misera carne umana.
A noi, esseri inferiori rispetto agli Angeli, non sarebbe costata troppo una simile prova ma per gli Angeli, invece, la prova fu durissima.
 

Lucifero, dotato di qualità eccellentissime, pensando che un giorno avrebbe dovuto umiliarsi davanti al Figlio di Dio fatto uomo, senti in sé tanto orgoglio da dire: “Non lo servirò!… Se si farà uomo, sarò a lui superiore!”.
Altre schiere di Angeli si unirono a Lucifero, quasi per dare la scalata alla Divinità. Si iniziò la tremenda lotta in Cielo.
 

Al tal riguardo, nel dicembre del 1988, il Vescovo Pavol Mária Hnilica S.J. scrisse sulla rivista “Pro Deo et Fratribus” quanto segue. “Mi è capitato recentemente di leggere una rivelazione privata così profonda su San Michele Arcangelo come non avevo mai letto nella mia vita. L’autrice è una veggente che ha avuto la visione della lotta di Lucifero contro Dio e della lotta di San Michele contro Lucifero.
Secondo questa rivelazione Dio ha creato gli Angeli in un unico atto, ma la sua prima creatura è stata
Lucifero, portatore di luce, capo degli Angeli. Gli Angeli conoscevano Dio, ma avevano contatto con Lui solo per mezzo di Lucifero.