giovedì 30 gennaio 2014

Fidarsi di Dio?


Un ateo precipitò da una rupe.
Mentre rotolava giù, riuscì ad afferrare il ramo di un alberello, e rimase sospeso fra il cielo e le rocce trecento metri più sotto, consapevole di non poter resistere a lungo.
Allora ebbe un'idea. “Dio!”, gridò con quanto fiato aveva in gola.
Silenzio! Nessuna risposta.
“Dio!”, gridò di nuovo. “Se esisti, salvami e io ti prometto che crederò in te e insegnerò agli altri a credere”. Ancora silenzio!
Subito dopo fu lì lì per mollare la presa dallo spavento, nell'udire una voce possente che rimbombava nel burrone.
“Dicono tutti così quando sono nei pasticci”.
“No, Dio, no!” egli urlò, rincuorato. “Io non sono come gli altri. Non vedi che ho già cominciato a credere, poiché sono riuscito a sentire la tua voce? Ora non devi far altro che salvarmi e io proclamerò il tuo nome fino ai confini della terra”.
“Va bene”, disse la voce. “Ti salverò. Staccati dal ramo”.
“Staccarmi dal ramo?”, strillò l'uomo sconvolto. “Non sono mica matto!”

Si dice che quando Mosè lanciò il suo bastone nel Mar Rosso non avvenne il miracolo tanto atteso. Fu solo quando il primo uomo si gettò fra le onde che il mare si divise in due in modo da lasciare passare gli ebrei.

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venerdì 24 gennaio 2014

Un pensiero non-cattolico


«C'è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa e ciò che è in questione è la fede.
Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel Vangelo di san Luca: “Quando il Figlio dell'Uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?” Ciò che mi colpisce quando considero il mondo cattolico, è che all'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all'interno del cattolicesimo diventi domani il più forte.
Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa.»

Paolo VI in “Paolo VI segreto” di Jean Guitton

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domenica 19 gennaio 2014

Il pericolo di non essere più uomini


Abbiamo moltiplicato le possibilità di comunicare, di avere informazioni, di trasmettere notizie, ma possiamo dire che è cresciuta la capacità di capirci o forse, paradossalmente, ci capiamo sempre meno?


«La narrazione della Pentecoste negli Atti degli Apostoli [...] contiene sullo sfondo uno degli ultimi grandi affreschi che troviamo all’inizio dell’Antico Testamento: l’antica storia della costruzione della Torre di Babele (cfr Gen 11,1-9). Ma che cos’è Babele?
 

È la descrizione di un regno in cui gli uomini hanno concentrato tanto potere da pensare di non dover fare più riferimento a un Dio lontano e di essere così forti da poter costruire da soli una via che porti al cielo per aprirne le porte e mettersi al posto di Dio. 

Ma proprio in questa situazione si verifica qualcosa di strano e di singolare. Mentre gli uomini stavano lavorando insieme per costruire la torre, improvvisamente si resero conto che stavano costruendo l’uno contro l’altro. 

Mentre tentavano di essere come Dio, correvano il pericolo di non essere più neppure uomini, perché avevano perduto un elemento fondamentale dell’essere persone umane: la capacità di accordarsi, di capirsi e di operare insieme. 

Questo racconto biblico contiene una sua perenne verità; lo possiamo vedere lungo la storia, ma anche nel nostro mondo. 

Con il progresso della scienza e della tecnica siamo arrivati al potere di dominare forze della natura, di manipolare gli elementi, di fabbricare esseri viventi, giungendo quasi fino allo stesso essere umano. 

In questa situazione, pregare Dio sembra qualcosa di sorpassato, di inutile, perché noi stessi possiamo costruire e realizzare tutto ciò che vogliamo. Ma non ci accorgiamo che stiamo rivivendo la stessa esperienza di Babele. È vero, abbiamo moltiplicato le possibilità di comunicare, di avere informazioni, di trasmettere notizie, ma possiamo dire che è cresciuta la capacità di capirci o forse, paradossalmente, ci capiamo sempre meno?

Tra gli uomini non sembra forse serpeggiare un senso di diffidenza, di sospetto, di timore reciproco, fino a diventare perfino pericolosi l’uno per l’altro? 

[...] Può esserci veramente unità, concordia? 

E come? 

La risposta la troviamo nella Sacra Scrittura: l’unità può esserci solo con il dono dello Spirito di Dio, il quale ci darà un cuore nuovo e una lingua nuova, una capacità nuova di comunicare. 

E questo è ciò che si è verificato a Pentecoste. 

In quel mattino, cinquanta giorni dopo la Pasqua, un vento impetuoso soffiò su Gerusalemme e la fiamma dello Spirito Santo discese sui discepoli riuniti, si posò su ciascuno e accese in essi il fuoco divino, un fuoco di amore capace di trasformare. 

La paura scomparve, il cuore sentì una nuova forza, le lingue si sciolsero e iniziarono a parlare con franchezza, in modo che tutti potessero capire l’annuncio di Gesù Cristo morto e risorto. 

A Pentecoste dove c’era divisione ed estraneità, sono nate unità e comprensione.»

Solennità di Pentecoste - Omelia del Santo Padre Benedetto XVI. Domenica 27 maggio 2012

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domenica 12 gennaio 2014

“De te fabula narratur”


Il mito di Amore e Psiche,


La storia è nota. Psiche è sottoposta da Venere, gelosa della sua bellezza, a una serie di prove prima di potersi riunire al suo amato Eros, l’Amore. Dopo l’ultima di queste prove, in cui ha sfiorato il mondo dei morti, l’Oltretomba, Psiche piomba in un sonno profondo. Eros non riuscirà a risvegliarla soltanto con l’amore.

Si rivolgerà al padre degli dei, Zeus, per ottenere insieme all’amore anche la conoscenza. E l’amore e la conoscenza insieme risvegliano Psiche.

[...] Molti artisti hanno rappresentato la storia di Eros e Psiche solo come una storia d’amore, una delle grandi storie d’amore della nostra cultura occidentale. Ma altri, soprattutto gli artisti cristiani, hanno meditato sul suo significato simbolico.

Psiche, come il suo nome indica, è l’anima. L’anima che è assopita, che ha bisogno di svegliarsi, ma che sarà risvegliata solo dall’amore e dalla conoscenza congiunti.

Non dall’amore senza la conoscenza, non dalla conoscenza senza l’amore. Perché l’amore senza la conoscenza diventa sentimentalismo, e la conoscenza senza amore diventa gnosticismo: due tentazioni cui non sono sempre sfuggiti nella storia gli interpreti del mito di Amore e Psiche.

Nel discorso preparato per la visita alla Verna del 13 maggio 2012, poi cancellata per ragioni meteorologiche, Benedetto XVI ci ha offerto lo stesso insegnamento attraverso un tema che gli è caro, e che indica in san Bonaventura (1221-1274) l’interprete più sicuro e autentico di san Francesco d’Assisi (1182-1226).

Con san Bonaventura l’anelito francescano all’amore incontra la teologia, diventa dottrina, davvero mette insieme l’amore e la conoscenza. Nello stesso giorno ad Arezzo Benedetto XVI ha evocato un Papa santo, il beato Gregorio X (12101276) – nato a Piacenza, ma sepolto ad Arezzo –, un Pontefice molto impegnato a tenere insieme diverse spiritualità, diverse teologie, le ragioni della conoscenza e le ragioni del cuore, interagendo insieme con san Tommaso d’Aquino (1225-1274) e con san Bonaventura.

[…] Il simbolo del sonno […] è complesso. Nel mito della creazione prometeica è l’uomo ancora privo di anima che dorme, e Psiche è ben sveglia. Ma certo, più spesso, è Psiche, l’Anima, che si è addormentata.

[…] Questa storia non è su una fanciulla greca mai esistita o di tantissimi anni fa. Questa storia parla di te.

De te fabula narratur. Tante anime oggi sono addormentate e attendono il risveglio, con l’amore e con la conoscenza.

De te fabula narratur. Questa è una storia universale, che l’Europa ha riproposto attraverso le sue tante belle dormienti di tante leggende che sono più che leggende.

De te fabula narratur. Non solo l’anima individuale ha bisogno di risveglio ma ne ha bisogno la Cristianità, ne hanno bisogno le nostre nazioni, ne ha bisogno la nostra cultura.

Massimo Introvigne:“De te fabula narratur” - Al convegno nazionale di Alleanza Cattolica del 19 maggio 2012.

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domenica 5 gennaio 2014

Se si rompe l'unità


«Guai se rompiamo il legame che ci unisce alla Chiesa di sempre. Non posso riconoscere la Chiesa di oggi se questa non è la Chiesa del Concilio di Trento, se non è la Chiesa di Francesco e di Tommaso, di Bernardo e di Agostino.

Io non so che farmene di una Chiesa che nasca oggi.

Se si rompe l’unità la Chiesa è già morta.

La Chiesa è viva soltanto se, senza soluzione di continuità, io sono nella Chiesa uno con gli Apostoli per essere uno con Cristo».

(Don Divo Barsotti, Le responsabilità dei preti. Prediche al Papa. Edizioni San Paolo 2010).

Nel 1971 Don Divo ha predicato gli esercizi spirituali annuali per la Curia Romana alla presenza di papa Paolo VI.