giovedì 30 giugno 2016

Non è un sovrano assoluto


La potestà di insegnare, nella Chiesa, comporta un impegno a servizio dell’obbedienza alla fede. Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo.

(Papa Benedetto XVI – Basilica di San Giovanni in Laterano, 7 maggio 2005)

giovedì 23 giugno 2016

Non si sopravvive alla perdita dei confini


Occorrerebbe riuscire a riflettere senza anatemi reciproci, cosa impossibile da sempre e ora di più, sull’assoluta insensatezza del discorso relativo all’abbattimento delle frontiere e cose così.

A suo tempo fu considerato un capolavoro il libro della Sontag, “La malattia come metafora”. Si fermava a certi aspetti. Ma rimanendo nella metafora, credo con qualche argomento legittimo, non c’è dubbio che le malattie sociali attuali sono quelle che rompono le membrane che garantiscono la differenziazione degli organi e quindi il loro corretto funzionamento.

Se viene meno la differenziazione e quindi vengono meno i confini tra un tessuto e l’altro dei mille che costituiscono gli organismi viventi l’organismo stesso precipita nel caos e nell’indifferenziato, si sperde e si consuma fallendo il suo scopo vitale che è la sopravvivenza. Estendere la metafora agli organismi storici e sociali non è un’ipotesi così peregrina. Anche delimitando fortemente la portata euristica complessiva del suo uso, ma le società sono anche organismi a loro modo viventi come lo sono i singoli organismi.

Mi viene da pensare che l’attuale moda, insensata, di chiedere l’abbattimento delle membrane, abbia un corrispettivo psicologico in una certa diffusa pretesa a evitare il confronto tra le differenze.

Devo garantire gli scambi, i traffici, i percorsi (un po’ il discorso che a suo tempo faceva Michel Serres), i transiti, Hermes, non annullare le mappe, cancellare i segnavia, i cippi e la segnaletica dei passaggi che la storia ha riversato sulla crosta terrestre come portato essenziale del processo di ominizzazione.

Anche se molti di questi segni indicano lo scontro, il sedimento doloroso della guerra e dei suoi lutti tremendi, un mondo in cui tutto questo fosse cancellato non restituirebbe giustizia alcuna ai morti che, non dimentichiamo, sono la maggioranza dell’umanità.

Ho avuto il cancro che è esattamente una malattia dell’interruzione degli scambi tra tessuti e all’interno dei tessuti. Il cancro è l’indifferenziato cellulare, è la caduta nella perdita delle barriere, della differenziazione. Non si sopravvive alla perdita dei confini. Devo avere rapporti con ciò che mi è esterno, che è esterno al tessuto, lo devo replicare correttamente, ma lo scambio non avviene nell’indifferenziato ma solo nella differenza e nel riconoscimento dei limiti. Tutto il contrario della predica domenicale dei nuovi sacerdoti.

Riccardo De Benedetti - 8 maggio 2016

sabato 18 giugno 2016

Non perché siano sempre amabili


Siamo anche tra coloro convinti che, tra l’altro, alle porte della Chiesa – che non è un partito politico, un club culturale, un’agenzia sociale, un sindacato, un gruppo di “umanisti buonisti” – si bussa per credere, pregare, sperare in un Futuro senza tramonto, ben più che per discutere senza fine di problemi di sagrestia; o per impegnarsi in “filantropie” ben lontane (malgrado le apparenze) dal concetto cristiano di “carità”.

La quale (la Carità) è, poi, lo sforzo di amare gli uomini non perché siano sempre amabili, come finge di credere l’irrealismo illuministico, ma per amore del Dio di Cristo.

(Vittorio Messori, “Il Miracolo” Ancora, 1998. Pag. 5)

sabato 11 giugno 2016

Simili al ragno


Ci sono persone simili al ragno, che trasforma in veleno le cose migliori.

Un poveretto, una volta che finisce sulla lingua dei maldicenti, è simile a un chicco di grano, sotto la ruota del mulino: viene lacerato, sfracellato e completamente distrutto.
Questa gente, vi attribuirà delle intenzioni che voi non avete mai avuto, avveleneranno ogni vostra azione e ogni vostro movimento.

Se siete persone pie, che vogliono adempiere fedelmente i doveri della vostra religione, per loro siete solo degli ipocriti, che vi comportate come un dio, quando state in Chiesa, e come diavoli, quando siete in casa vostra.

Se compite opere buone, essi penseranno che lo fate per orgoglio, per farvi vedere.

Se fuggite le abitudini del mondo, per essi siete persone strane, malati di testa; se avete cura dei vostri beni, per essi siete soltanto avari.

Diciamolo francamente, fratelli miei, la lingua del maldicente è come un verme che intacca i buoni frutti, cioè le migliori azioni di questo mondo, e cerca di trasformarli in roba da buttar via.

La lingua del maldicente è come un bruco che insudicia i fiori più belli, deponendo in essi la traccia disgustosa della sua schiuma.

(Dalle omelie del Santo Curato D'Ars)

domenica 5 giugno 2016

L’autorità e l’autoritarismo


Se diciamo di un uomo che «ha autorità», questo giudizio è un elogio. Ma se diciamo: «è autoritario» esprimiamo piuttosto una critica.

Dove sta dunque la differenza tra autorità e autoritarismo?

L’autorità di un uomo si misura dalla sua capacità di comando, cioè dalla fiducia che ispira al suo prossimo e che lo inclina a obbedire senza discutere. Nel celebre dramma «Re Lear», Shakespeare ci mostra il vecchio re spodestato che vaga nella foresta. Un gentiluomo, passando per di là, lo incontra e gli dice: «Non vi conosco, ma sento qualcosa in voi che induce ad obbedirvi. – E cosa è dunque? domanda il re. – L’autorità».

Autorità viene dalla parola latina augere, che significa: aumentare, far crescere. Là si trova il senso e lo scopo dell’autorità. Sentiamo, davanti a colui che la possiede, che obbedendo ai suoi ordini non saremo ingannati, né vessati o frustrati, ma che ci realizzeremo, che la nostra personalità si svilupperà attraverso la disciplina imposta. In altri termini, sentiamo che il capo non comanda in nome proprio, ma obbedisce a una legge superiore che è quella del bene comune di cui egli è rappresentante e intermediario. Così il buon padre di famiglia esercita l’autorità nell’interesse dei figli, il buon padrone in quello di tutti i membri dell’impresa e l’uomo politico degno di questo nome nel nome della nazione intera. In questo senso il capo è il servitore di tutti.

L’uomo autoritario, al contrario, è colui che comanda senza tener conto delle esigenze del bene comune e per il solo piacere di esercitare la propria potenza. I suoi ordini sono arbitrari, capricciosi e, in questa stessa misura, vessatori per coloro che li ricevono. Contrariamente all’etimologia della parola, l’obbedienza a simili ordini degrada l’esecutore in luogo di elevarlo. Ciò genera, a seconda del carattere del subordinato, il servilismo o il ribellismo.

È importante notare che questo autoritarismo è quasi sempre tipico di coloro che hanno la passione del potere senza aver ricevuto il dono naturale dell’autorità. Non possedendo le qualità interiori del vero capo, costoro cercano di colmare questa lacuna moltiplicando ed esagerando le manifestazioni esteriori dell’autorità.

Il vero capo è rispettato perché la sua autorità si impone per virtù propria ed è amato perché sappiamo che la esercita per il bene di tutti.

Il capo autoritario, al contrario, è temuto perché i suoi ordini, ispirati dall’egoismo e dalla vanità e non dalla chiara visione dello scopo da conseguire, sono incoerenti e imprevedibili e, perciò, quasi impossibili da eseguire, fatto che scoraggia l’obbedienza e presto o tardi porta al disprezzo dell’autorità.

L’esempio migliore di una tale contraddizione interna ci viene fornito da quella strana commistione di disciplina rigorosa e di negligenza nell’esecuzione che troppo spesso troviamo nell’organizzazione militare. – «Non ci affrettiamo» mi diceva un vecchio sergente, in attesa del contrordine ogni qual volta riceveva l’ordine di un superiore. L’autorità sana si esercita alla maniera di un dialogo tra due libertà unite in vista di uno scopo comune: quella dell’uomo che comanda e quella dell’uomo che obbedisce. Ma l’autoritarismo, nel deturpare questo rapporto umano, non può creare che dei tiranni che tradiscono il potere di cui abusano e degli schiavi che barano col potere che subiscono.

Gustave Thibon. L’autorité et l’autoritarisme, 29 marzo 1974.

::