giovedì 27 dicembre 2018

Sia medicamento sia veleno


Ogni medicina va presa nei modi giusti, altrimenti nuoce.
È per questo che le medicine i greci le indicavano con la parola “pharmacon” che significa sia medicamento sia veleno.

Ed è ancora per questo motivo che l’Apostolo Paolo, stendendo il primo bugiardino a questo Farmaco d’immortalità, scrisse: “Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. 

Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1Cor 11,27-29).

Di Francesco Solazzo

giovedì 20 dicembre 2018

La vocazione naturale che li spinge


Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli.

È la vocazione naturale che li spinge, non soltanto la sete di guadagno. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno.

Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie e investono tutti i loro capitali per ritirare spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con gli altri impegni.

Luigi Einaudi

sabato 15 dicembre 2018

Tu non devi morire


La frase “ti amo = tu non devi morire” è del filosofo Gabriel Marcel.
Io l’ho sentita per la prima volta, settembre 76, spiegata da don Giussani, e mi ha letteralmente cambiato la vita.

Don Gius mi colpiva proprio nel profondo: ma tu, quando guardi la tua ragazza, come fai a dirle “ti amo” come fanno tutti, cosa vuol dire “ti amo”?
Ti amo vuol dire “tu non devi morire”, io non voglio che tu muoia.
E come fai a dirglielo se non puoi mantenerlo?

Solo Uno può mantenere questa promessa, che lei non morirà. Non puoi dirle “ti amo” seriamente, se non pensi al suo destino.
L’amore vero è un distacco, ha un distacco dentro, non è tua, tuo…

Questo ha cambiato tutto di me, come guardo le persone, le cose, e me stesso... da allora, fino ad oggi.

Giorgio Canu

domenica 9 dicembre 2018

Un attentato ai suoi “diritti”


«Quando l’antielitarismo degli anni Sessanta ha preso piede nella scuola americana si è portato dietro una sconfinata, cinica indulgenza verso l’ignoranza degli studenti, razionalizzata come riguardo per “l’espressione personale” e “l’autostima”.

Per “non stressare” i ragazzi con troppe letture e troppi sforzi cerebrali (cosa che, al contatto con richieste di livello universitario, poteva far crollare le loro fragili personalità), le scuole hanno ridotto la quantità delle letture, riducendo così, automaticamente, anche la loro padronanza della lingua.

Non esercitati all’analisi logica, male attrezzati per sviluppare e capire un’argomentazione, non avvezzi a consultare testi per documentarsi, gli studenti hanno ripiegato sulla sola posizione che potevano rivendicare come propria: le loro sensazioni su questo o su quello.

Quando gli stati d’animo sono i principali referenti di un’argomentazione, attaccare una tesi diventa automaticamente un insulto a chi la sostiene, o addirittura un attentato ai suoi “diritti” o supposti tali; ogni argomentum diventa ad hominem e rasenta la molestia, se non la violenza vera e propria.

“Mi sento molto minacciato dal tuo rifiuto delle mie opinioni su [barrare una casella]: il fallocentrismo/la Dea Madre/ il Congresso di Vienna/il Modulo di Young”.

Provate a tramandare questa soggettivizzazione del discorso per due o tre generazioni di studenti che poi diventano insegnanti, con progressivo accumulo di diossine sessantottesche, e avrete il background entropico della nostra cultura del piagnisteo».

Robert Hughes, La cultura del piagnisteo (la saga del politicamente corretto)

domenica 2 dicembre 2018

Non come Ragione ma come Amore


La religione pagana, nella sua forma greco-romana, ha conosciuto un certo sviluppo nel corso dei secoli. Inizialmente e per lungo tempo è stata una forma di culto non troppo diversa da altre, ricollegandosi a modelli di tipo naturalistico.
Rispetto ad altre religioni, però, si è trovata di fronte ad un fenomeno particolare, cioè l’incontro-scontro con la filosofia. E la filosofia si è impegnata in una strettissima critica di molti aspetti (antropomorfismi, mancanza di etica, etc.) di quella fede.
Inizialmente il fenomeno è stato ristretto alle élite, ma col passare dei secoli questo tipo di critiche sembra in qualche modo aver cominciato ad essere recepito anche da parte del popolo.

Roma in questo senso è rivelatoria: nell’età repubblicana si assiste ad un progressivo restringimento della fede negli antichi dei, che sembravano incapaci di risolvere le angosce e le esigenze insopprimibili dell’animo umano. Quelle divinità hanno cominciato ad apparire irrazionali, non ragionevoli. Di conseguenza hanno cominciato ad avere sempre più successo certi culti orientali (egizi, mitraici, etc.).
Già nella tarda età repubblicana nelle élite si nota un progressivo svuotamento del paganesimo: la religione diventa un rito esclusivamente civico e si riduce - per l’appunto - ad essere rito, ad essere cerimoniale, che in fondo non richiedeva né fiducia né amore e neppure di credere in quello che si faceva. L’essenziale diventava il rito in quanto conservatore della res publica, diventava il rito come espressione identitaria di una comunità.
È chiaro che una religione così svuotata finì col soccombere e non poteva avere un futuro luminoso.
Il suo posto è stato preso, lo sappiamo, dal cristianesimo. Tuttavia, in qualche modo alcuni fenomeni di allora paiono ripetersi.