domenica 2 dicembre 2018

Non come Ragione ma come Amore


La religione pagana, nella sua forma greco-romana, ha conosciuto un certo sviluppo nel corso dei secoli. Inizialmente e per lungo tempo è stata una forma di culto non troppo diversa da altre, ricollegandosi a modelli di tipo naturalistico.
Rispetto ad altre religioni, però, si è trovata di fronte ad un fenomeno particolare, cioè l’incontro-scontro con la filosofia. E la filosofia si è impegnata in una strettissima critica di molti aspetti (antropomorfismi, mancanza di etica, etc.) di quella fede.
Inizialmente il fenomeno è stato ristretto alle élite, ma col passare dei secoli questo tipo di critiche sembra in qualche modo aver cominciato ad essere recepito anche da parte del popolo.

Roma in questo senso è rivelatoria: nell’età repubblicana si assiste ad un progressivo restringimento della fede negli antichi dei, che sembravano incapaci di risolvere le angosce e le esigenze insopprimibili dell’animo umano. Quelle divinità hanno cominciato ad apparire irrazionali, non ragionevoli. Di conseguenza hanno cominciato ad avere sempre più successo certi culti orientali (egizi, mitraici, etc.).
Già nella tarda età repubblicana nelle élite si nota un progressivo svuotamento del paganesimo: la religione diventa un rito esclusivamente civico e si riduce - per l’appunto - ad essere rito, ad essere cerimoniale, che in fondo non richiedeva né fiducia né amore e neppure di credere in quello che si faceva. L’essenziale diventava il rito in quanto conservatore della res publica, diventava il rito come espressione identitaria di una comunità.
È chiaro che una religione così svuotata finì col soccombere e non poteva avere un futuro luminoso.
Il suo posto è stato preso, lo sappiamo, dal cristianesimo. Tuttavia, in qualche modo alcuni fenomeni di allora paiono ripetersi.

A partire in special modo dal Settecento (penso al metodo storico-critico), la fede cristiana ha cominciato ad essere sotto attacco, sotto esame, in nome della ragione. Nuove correnti filosofiche (soprattutto l’illuminismo, chiaramente) ne hanno messo in discussione i fondamenti. Inizialmente il fenomeno è stato ristretto anche qui alle élite, ma soprattutto nel Novecento questa critica ha cominciato ad incidere a livello popolare. La ragionevolezza, la storicità, l’utilità di fondo della fede è stata messa in discussione.
La Chiesa ha reagito inizialmente e per lungo tempo col rinserrarsi tra le proprie mura, riuscendo - bene o male - a proteggere se stessa. È chiaro che ciò che ha cambiato le cose è stato l’evento Vaticano II. Al di là di ciò che abbiano voluto i padri conciliari o i romani pontefici, l’evento in sé è stato dirompente e ha profondamente modificato il modo in cui la Chiesa si rapportava alla modernità. Una Chiesa che era stata sulla difensiva, in difficoltà, ha cercato di accogliere e battezzare la modernità, solo che i risultati sono stati scarsi, almeno in Occidente.

Larghe masse di persone nel giro di pochi anni hanno di fatto abbandonato la fede vissuta e talvolta si sono affidate a certi nuovi pseudo-culti oppure - molto più diffusamente - ad una sorta di religio civica (sincretista come quella romana) basata su parole chiave come amore, dialogo, rispetto, accoglienza. Concetti senz’altro cristiani, ma che, privati del loro legame col Cristo, hanno finito col tramutarsi in idoli.

Nella Chiesa la fede dei padri è battuta in ritirata e si sono diffuse nuovi concezioni, ma soprattutto - tracciamo un altro parallelo - si è cominciato a svuotare la fede della sua ragionevolezza: così l’Antico Testamento diventa storicamente non attendibile e comunque di fatto da riscrivere attraverso le nuove interpretazioni; il Nuovo Testamento viene demitizzato, privato di molti elementi di storicità e anch’esso reinterpretato.
Si fanno strada nuove correnti teologiche, in cui Dio vede ridotto sempre più lo spazio a propria disposizione: così Dio assume caratteri cartesiani (non però come Ragione ma come Amore), venendo ridotto a tappabuchi di alcune falle del sistema di pensiero. In fondo per noi Dio non agisce più nella storia, perché la storia è vista sempre più in maniera meccanicistica. Dio diventa non più onnipotente, ma una sorta di sentimento vagante e mellifluo, malleabile a seconda delle mode del momento.

Perché se andiamo fino al nocciolo delle cose, alla fine bisogna ammettere che per buona parte del cristianesimo contemporaneo Dio non è affatto necessario: il sistema potrebbe funzionare anche senza di Lui. E in fondo conosciamo tutte figure che fanno del bene (filantropia) pur senza credere in Dio. Anzi, talvolta lo fanno persino meglio di chi crede. E Dio viene relegato sempre più in un angolo: perché per quanto riguarda l’agire ci arrangiamo noi, il cosmo non ha bisogno di Lui perché funziona da solo, mentre le nostre liturgie si riducono a cerchi antropocentrici in cui al centro stiamo noi stessi oppure degli ideali che sono proiezioni del nostro sentire interiore.

A questo proposito è interessante rilevare come, mentre l’antico paganesimo si ridusse col tempo ad essere mero atto di culto, l’attuale cristianesimo si sta sempre più riducendo ad essere una mera etica, una mera morale. Non importa affatto l’ortodossia (ritenuta anzi divisiva, antidialogica e antiecumenica), ma l’ortoprassi: su questa possiamo essere d’accordo tutti (finché non cambia la moda).

Se questa visione è corretta, allora il cristianesimo pare essersi instradato su un sentiero di distruzione, di auto-distruzione. Perché alla fine se non ci crediamo veramente in Dio (intendo in un Dio che sia veramente tale), allora tutto finisce con lo svuotarsi di senso. E diventa comprensibile l’abbandono in massa della fede, almeno in alcune regioni (cioè praticamente ovunque tranne in Africa e, in parte, in Asia): perché spendere, investire tutta la propria vita in un vago sentimentalismo moraleggiante?

Se, dunque, gli eventi continueranno a seguire questa logica, allora l’albero cristiano rischia di rinsecchirsi sempre più, sino a diventare un vuoto simulacro, che resterà in piedi sino a che non appaia un movimento religioso capace di catalizzare nuovamente gli animi, il quale procederà ad abbattere ciò che resta del cristianesimo.

Questo non significa che quest’ultimo scomparirà del tutto. La complessità della società contemporanea renderebbe quest’operazione quasi impossibile - almeno per come conosciamo il mondo e noi stessi attualmente. Più probabilmente, il cristianesimo si potrebbe ridurre ad una fede estremamente minoritaria, probabilmente incapace di agire a livello sociale, e in cui probabilmente si rinsalderanno gli elementi identitari e valoriali, per reazione e in difesa contro una società radicalmente in opposizione ai valori cristiani.

di Cristiano Andreatta - (qui)

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