sabato 29 marzo 2014

I popoli passano, i troni crollano


«Io conosco gli uomini e le dico che Gesù non era un uomo.
Gli spiriti superficiali vedono una somiglianza tra il Cristo e i fondatori di imperi, i conquistatori e le divinità delle altre religioni. Questa somiglianza non c’è: tra il cristianesimo e qualsivoglia altra religione c’è la distanza dell’infinito […].
 

Lei, generale Bertrand, parla di Confucio, Zoroastro, Giove e Maometto. Ebbene, la differenza tra loro e Cristo è che tutto ciò che riguarda Cristo denuncia la natura divina, mentre tutto ciò che riguarda tutti gli altri denuncia la natura terrena […].
Cristo affida tutto il proprio messaggio alla propria morte: come può essere ciò l’invenzione di un uomo? 

[…] Ma l’impero di Cesare quanti anni è durato? Per quanto tempo Alessandro si è sostenuto sull’entusiasmo dei propri soldati? […]
I popoli passano, i troni crollano ma la Chiesa resta. 

Allora, qual è la forza che tiene in piedi questa Chiesa assalita dall’oceano furioso della collera e del disprezzo del mondo? 

[…] Il mio esercito ha già dimenticato me, mentre sono ancora in vita […]. Ecco qual è il potere di noi grandi uomini! Una sola sconfitta ci disintegra e le avversità si portano via tutti i nostri amici».

Napoleone Bonaparte al generale Henri Gatien Bertrand “Conversazioni religiose” (con il Generale Bertrand)

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lunedì 24 marzo 2014

La fede dei semplici è la vera saggezza



Oggi vacillano le fondamenta esteriori del mondo perché vacillano le fondamenta interiori, le fondamenta morali e religiose, la fede dalla quale segue il retto modo di vivere.

«Pensiamo alle grandi potenze della storia di oggi, pensiamo ai capitali anonimi che schiavizzano l’uomo, che non sono più cosa dell’uomo, ma sono un potere anonimo al quale servono gli uomini, dal quale sono tormentati gli uomini e perfino trucidati. Sono un potere distruttivo, che minaccia il mondo.
E poi il potere delle ideologie terroristiche. Apparentemente in nome di Dio viene fatta violenza, ma non è Dio: sono false divinità, che devono essere smascherate, che non sono Dio.
E poi la droga, questo potere che, come una bestia vorace, stende le sue mani su tutte le parti della terra e distrugge: è una divinità, ma una divinità falsa, che deve cadere.
O anche il modo di vivere propagato dall’opinione pubblica: oggi si fa così, il matrimonio non conta più, la castità non è più una virtù, e così via.
Queste ideologie che dominano, così che si impongono con forza, sono divinità.
E nel dolore dei santi, nel dolore dei credenti, della Madre Chiesa della quale noi siamo parte, devono cadere queste divinità, deve realizzarsi quanto dicono le Lettere ai Colossesi e agli Efesini: le dominazioni, i poteri cadono e diventano sudditi dell’unico Signore Gesù Cristo.

Di questa lotta nella quale noi stiamo, di questo depotenziamento di dio, di questa caduta dei falsi dei, che cadono perché non sono divinità, ma poteri che distruggono il mondo, parla l’Apocalisse al capitolo 12, anche con un’immagine misteriosa, per la quale, mi pare, ci sono tuttavia diverse belle interpretazioni.
Viene detto che il dragone mette un grande fiume di acqua contro la donna in fuga per travolgerla. E sembra inevitabile che la donna venga annegata in questo fiume. Ma la buona terra assorbe questo fiume ed esso non può nuocere.
Io penso che il fiume sia facilmente interpretabile: sono queste correnti che dominano tutti e che vogliono far scomparire la fede della Chiesa, la quale non sembra più avere posto davanti alla forza di queste correnti che si impongono come l’unica razionalità, come l’unico modo di vivere.
E la terra che assorbe queste correnti è la fede dei semplici, che non si lascia travolgere da questi fiumi e salva la Madre e salva il Figlio. Perciò il Salmo dice: la fede dei semplici è la vera saggezza (cfr Sal 118,130). Questa saggezza vera della fede semplice, che non si lascia divorare dalle acque, è la forza della Chiesa.
 

E c’è anche un’ultima parola nel Salmo 81, «movebuntur omnia fundamenta terrae» (Sal 81,5), vacillano le fondamenta della terra.
Lo vediamo oggi, con i problemi climatici, come sono minacciate le fondamenta della terra, ma sono minacciate dal nostro comportamento. Vacillano le fondamenta esteriori perché vacillano le fondamenta interiori, le fondamenta morali e religiose, la fede dalla quale segue il retto modo di vivere. E sappiamo che la fede è il fondamento, e, in definitiva, le fondamenta della terra non possono vacillare se rimane ferma la fede, la vera saggezza».


Benedetto XVI, 11 ottobre 2010. Riflessione nel corso della Prima Congregazione Generale dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi

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martedì 18 marzo 2014

Sopporta tutti, sostieni tutti


«Sopporta tutti, come il Signore sopporta anche te; sostieni tutti nella carità, come già fai. 
Prega senza sosta; chiedi una saggezza maggiore di quella che hai; veglia possedendo uno spirito insonne. 
Parla a ciascuno nel modo conforme a Dio. Sostieni come perfetto atleta le infermità di tutti (cfr Mt 8,17). Dove maggiore è la fatica, più è il guadagno.

(...) Il tempo presente esige che tu tenda a Dio, come i naviganti invocano i venti e coloro che sono sbattuti dalla tempesta il porto. 
Come atleta di Dio sii sobrio; il premio è l’immortalità, la vita eterna in cui tu credi. … È proprio del grande atleta incassare i colpi e vincere. 
Dobbiamo accettare ogni cosa per amore di Dio, perché anche lui ci accetti. 
Raddoppia il tuo zelo. 
Discerni i tempi. 
Aspetta chi è al di sopra del tempo, eterno, invisibile, per noi (fattosi) visibile, colui che, intangibile e incapace di soffrire, per noi ha sperimentato la Passione e sopportato ogni sorta di dolori».

Sant'Ignazio d'Antiochia (? - ca 110), vescovo e martire. Lettera a Policarpo, (69-155, santo, vescovo e martire)

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martedì 11 marzo 2014

Le Beatitudini



Beati quelli che sanno ridere di se stessi, perché non finiranno mai di divertirsi.

Beati quelli che sanno distinguere una montagna da un ciottolo, perché eviteranno molti fastidi.

Beati quelli che sanno riposare e dormire senza trovare scuse: diventeranno saggi.

Beati quelli che sanno ascoltare e tacere: impareranno cose nuove.

Beati quelli che sono abbastanza intelligenti per non prendersi sul serio: saranno apprezzati dai loro vicini.

Beati quelli che sono attenti alle esigenze degli altri, senza sentirsi indispensabili: saranno dispensatori di gioia.

Beati sarete voi se saprete guardare seriamente le cose piccole e tranquillamente le cose importanti: andrete lontano nella vita.

Beati voi se saprete apprezzare un sorriso e dimenticare uno sgarbo: il vostro cammino sarà pieno di sole.

Beati voi se saprete interpretare sempre con benevolenza gli atteggiamenti degli altri, anche contro le apparenze: sarete presi per ingenui, ma questo è il prezzo della Carità.

Beati quelli che pensano prima di agire e che pregano prima di pensare: eviteranno tante stupidaggini.

Beati soprattutto voi che saprete riconoscere il Signore in tutti coloro che vi incontrano: avrete trovato la vera luce e la vera sapienza.

(San Tommaso Moro - 1478-1535)

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mercoledì 5 marzo 2014

Se tu lo comprendi, allora non è Dio


«Certo Giobbe può lamentarsi di fronte a Dio per la sofferenza incomprensibile, e apparentemente ingiustificabile, presente nel mondo. Così egli parla nel suo dolore: “Oh, potessi sapere dove trovarlo, potessi arrivare fino al suo trono! ... Verrei a sapere le parole che mi risponde e capirei che cosa mi deve dire. Con sfoggio di potenza discuterebbe con me? ... Per questo davanti a lui sono atterrito, ci penso ed ho paura di lui. Dio ha fiaccato il mio cuore, l’Onnipotente mi ha atterrito” (23, 3. 5-6. 15-16).
Spesso non ci è dato di conoscere il motivo per cui Dio trattiene il suo braccio invece di intervenire. Del resto, Egli neppure ci impedisce di gridare, come Gesù in croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27, 46).

Noi dovremmo rimanere con questa domanda di fronte al suo volto, in dialogo orante: “Fino a quando esiterai ancora, Signore, tu che sei santo e verace?” (Ap 6, 10). È sant’Agostino che dà a questa nostra sofferenza la risposta della fede: “Si comprehendis, non est Deus” – Se tu lo comprendi, allora non è Dio.

La nostra protesta non vuole sfidare Dio, né insinuare la presenza in Lui di errore, debolezza o indifferenza. Per il credente non è possibile pensare che Egli sia impotente, oppure che “stia dormendo” (cfr 1 Re 18, 27). Piuttosto è vero che perfino il nostro gridare è, come sulla bocca di Gesù in croce, il modo estremo e più profondo per affermare la nostra fede nella sua sovrana potestà. I cristiani infatti continuano a credere, malgrado tutte le incomprensioni e confusioni del mondo circostante, nella “bontà di Dio” e nel “suo amore per gli uomini” (Tt 3, 4).
Essi, pur immersi come gli altri uomini nella drammatica complessità delle vicende della storia, rimangono saldi nella certezza che Dio è Padre e ci ama, anche se il suo silenzio rimane incomprensibile per noi.

Fede, speranza e carità vanno insieme. La speranza si articola praticamente nella virtù della pazienza, che non vien meno nel bene neanche di fronte all’apparente insuccesso, ed in quella dell’umiltà, che accetta il mistero di Dio e si fida di Lui anche nell’oscurità.
La fede ci mostra il Dio che ha dato il suo Figlio per noi e suscita così in noi la vittoriosa certezza che è proprio vero: Dio è amore! In questo modo essa trasforma la nostra impazienza e i nostri dubbi nella sicura speranza che Dio tiene il mondo nelle sue mani e che nonostante ogni oscurità. Egli vince, come mediante le sue immagini sconvolgenti alla fine l’Apocalisse mostra in modo radioso.

La fede, che prende coscienza dell’amore di Dio rivelatosi nel cuore trafitto di Gesù sulla croce, suscita a sua volta l’amore. Esso è la luce – in fondo l’unica – che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire. L’amore è possibile, e noi siamo in grado di praticarlo perché creati ad immagine di Dio. Vivere l’amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo, ecco ciò a cui vorrei invitare con la presente Enciclica.»

Benedetto XVI – Deus caritas est – 38-39

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