giovedì 26 dicembre 2019

Un Dio lontano è sempre più comodo di un Dio vicino


Spero, caro Farfarello, che tu non ti sia lasciato sfuggire l’occasione, durante queste ultime feste natalizie, di ammirare qualcuno dei presepi che in molte case ancora si usa allestire per la gioia dei bambini e dei vecchi. Ce n’è di tutti i tipi, dal legno alla cartapesta, dal cristallo al bronzo, dalla terracotta al plexiglas…
Io amo i presepi. Dirai che sono un vecchio sentimentale… Ebbene, di’ pure, se vuoi. 

Prima però, senti quello che ho da dirti in proposito. Da secoli ormai un’idea mi frulla per il capo alla sola vista di un presepe, e te la voglio confidare in segno di stima. Ebbene, io credo che la grande quantità di energia che noi diavoli abbiamo sempre profuso per inventare argomentazioni seducenti contro Dio sia, in gran parte fatica sprecata. Noi non dobbiamo creare nuovi argomenti: possiamo usare pari pari i loro. È il cuore che decide, e spesso decide male.

Pensa alle figure minori del presepe: c’è un solo Giuseppe, una sola Maria, un solo Gesù bambino. Un solo bue, un solo asino. Gli altri sono tutte comparse, compresi i Magi. Ogni uomo al mondo è una figura minore del presepe… Seguimi bene. Dopo aver reso omaggio al Messia, che fanno tutte queste comparse? Se ne tornano, semplicemente, al loro lavoro. Il carrettiere al suo carretto, il panettiere al suo pane, e così via. C’è qualcosa, in tutto ciò, che mi manda in confusione, che mi stordisce e mi umilia: ciascuno torna lieto al suo mestiere, anzi: se prima il lavoro gli pesava, ora gli pesa molto meno, perché ha visto il Messia.

Che ira! Tutto diviene accettabile, amabile… Ma poi, passata l’ira, ecco l’idea! La grande idea! Quella che è la più grande dimostrazione dell’esistenza di Dio, la quotidianità, eccola trasformata, senza che apparentemente nulla cambi, nella più grande delle bestemmie! Che cos’è mai il tuo Dio? Un’emozione momentanea prima di riprendere il solito tran tran. Un bambinello che ti salva finché resti in estatica contemplazione, ma poi? Immaginiamo quei poveri pastori al momento del congedo. Un inchino, un altro inchino, mettiamoci pure un terzo inchino. Ma poi le spalle dovranno pur voltare, e tornarsene alle loro pecore, non è vero? E allora noi diavoli pronti, in coro, a soffiar nelle loro orecchie: dalle obiezioni più collaudate (“come può Dio, nella sua bontà, permettere il dolore innocente?”) alle migliori invenzioni della modernità (l’uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio si trasforma nell’egalité giacobina, che è il suo opposto), e via dicendo.

Tutte le obiezioni contro Dio nascono dall’idea di un Dio lontano, che non vuole salvare concretamente gli uomini. Ma questa idea nasce, a sua volta, dalla comodità: un Dio lontano è sempre più comodo di un Dio vicino. È questa, Farfarello, la nostra carta vincente. Da sempre.
Un abbraccio dal tuo Malacoda.

Tratto da C. S. Lewis, Lettere di Berlicche, 1942

giovedì 19 dicembre 2019

Quando sarai risalito dal mare


Colui che è stato preso dai pescatori di Gesù ed è risalito dal mare, muore sì anche lui ma muore al mondo, muore al peccato e dopo esser morto al mondo e al peccato è vivificato dalla Parola di Dio e riceve un’altra vita. 

Sei risalito dal mare cadendo nelle reti dei discepoli di Gesù; uscendo cambi d’anima, non sei più un pesce che vive nei flutti salmastri del mare, ma subito la tua anima si trasforma e si trasfigura e diventa qualcosa di meglio e di più divino di ciò che era prima. 

Quando dunque tu sarai risalito dal mare e sarai stato preso dentro le reti dei discepoli di Gesù, trasfòrmati allontanandoti dal mare, dimenticalo…

Origene

venerdì 13 dicembre 2019

Gerusalemme ha mura e porte


«Il muro da una parte indica verso l’interno, ha la funzione di proteggere, raccoglierci e condurci l’uno verso l’altro. Il suo senso è quello di riportarci insieme dalle distrazioni nelle quali viviamo all’esterno, dall’opporci l’uno all’altro nel quale spesso ci perdiamo, di donarci la convivenza, di guidarci alla responsabilità dell’uno per l’altro, ma anche di darci il dono e la consolazione della condivisione della fede, dell’essere insieme nel dramma della vita umana.
Per questo i Padri della Chiesa hanno affermato che i muri in ultima analisi siamo noi stessi e lo possiamo essere solamente nella misura in cui siamo pronti a lasciarci squadrare come pietre e a lasciarci connettere l’un l’altro e proprio così, lasciandoci squadrare e facendoci disporre uno accanto all’altro, usciamo da quanto è meramente privato.

Divenendo mura possiamo anche ricevere il dono di essere edificio, di essere sostenuti come noi a nostra volta sosteniamo altri. Il muro guarda verso l’interno, è qualcosa di positivo, che raduna, protegge, unisce.
Ha, però, anche l’altra faccia con la quale guarda verso l’esterno, traccia un confine che tiene lontano quanto non appartiene all’interno.
Quando nel punto culminante del Vaticano II questo pensiero divenne sempre più estraneo e, nell’ottimismo delle nuove aperture, si diffuse la convinzione che non vi erano affatto dei confini, anzi che non ve ne potevano essere, il vescovo evangelico Wilhelm Stählin tenne una conferenza sul tema: “Gerusalemme ha mura e porte”, che fece scalpore.
Ci ricordò che anche la città santa del tempo finale, quale viene delineata nell’Apocalisse di san Giovanni, ha sì delle porte che sono sempre aperte, ma ha nondimeno anche delle mura.

Ci ricordò, dunque, che esiste anche qualcosa che non può entrare, non ha diritto di entrare perché non vengano distrutte la pace e la libertà di questa città.
Giovanni accenna a quella realtà contro la quale stanno le mura con le parole misteriose: «Fuori i cani, i maghi, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna!» (Ap. 22,15). […]
Contro queste realtà si ergono i muri della Chiesa per edificare la città della pace, della libertà e dell’unità.
Questo ci riporta nuovamente ai Padri della Chiesa e al rito della consacrazione della Chiesa in cui la parete viene considerata come la presenza dei dodici apostoli.
I santi sono le mura che ci circondano. Sono loro che ci rendono impermeabili dallo spirito del male, dalla bugia, dall’indisciplina, dalla mancanza di verità e dall’odio.
Nello stesso tempo sono forza di invito, permeabili a tutto ciò che è buono, grande e nobile. I santi sono mura e porta nello stesso tempo. E, in tutta sobrietà, noi stessi dobbiamo essere questi santi, cioè degli uomini che sono l’uno per l’altro delle mura, che tengono lontano ciò che è contrario all’umanità e al Signore, mentre sono spalancati per tutto ciò che è ricerca, domanda e speranza in noi.
Così il segno del muro viene a formare un’unità con quello della porta.»

Joseph Ratzinger, I Sacramenti. Segni di Dio nel mondo, Cantagalli, Siena 2019, pp. 12-14

domenica 8 dicembre 2019

Una teologia senza pudore


Quale messaggio di salvezza può annunziare al mondo una teologia la quale, sotto il pretesto razionalistico della demitizzazione, svuota della loro realtà storica gli eventi di salvezza, lascia in ombra – qualcuno li nega o li omette completamente – i misteri e dogmi fondamentali del cristianesimo per applicarsi unicamente alle strutture socio-politico-economiche dell’uomo, rifiutando il sacro del mistero della caduta e della redenzione dell’uomo?

Quale principio di rinnovamento può essere una teologia che secolarizza senza scrupoli la morale e, quasi vergognosa dell’ideale di purezza e povertà cristiane del Vangelo, irrompe anch’essa per un’esistenza all’insegna del piacere, del rifiuto del sacrificio, e per la celebrazione aperta del sesso: brevemente, per allinearsi alla lotta di classe a braccetto con il marxismo, per proclamare l’innocenza liberatrice degli istinti con la brutalità della psicanalisi più avanzata?

Che cosa deve o può fare il mondo di una teologia senza pudore, che disarma di fronte al male? che cosa può significare per la società consumistica, che sprofonda nella noia e nella ribellione dell’atto gratuito, una simile teologia che per salvare il mondo si abbevera al veleno che intossica il mondo?

Non è questa una teologia del disprezzo di Dio, dell’uomo e del mondo? una teologia senza amore e senza pudore […]?

(Cornelio Fabro, L’avventura della teologia progressista, Milano 1974, Introduzione).

domenica 1 dicembre 2019

Giudizio solenne contro Formoso


Fu bandito un giudizio solenne contro Formoso: il morto fu citato a comparire in persona innanzi al tribunale di un Sinodo.
Era il Febbraio od il Marzo dell’anno 897, in quello che anche Lamberto imperatore era venuto con sua madre a Roma, dove già comandava da padrone. I Cardinali, i Vescovi e molti altri dignitari del clero si congregarono in sinedrio.
Il cadavere del Papa, strappato alla tomba in cui riposava da otto mesi, fu vestito dei paludamenti pontici, e deposto sopra un trono nella sala del Concilio. L’avvocato di papa Stefano si alzò, si volse verso quella mummia orribile al cui fianco sedeva un Diacono tremante che doveva fargli da difensore, propose le accuse; e il Papa vivente con furore insano chiese al morto:
«Perché, uomo ambizioso, hai tu usurpato la cattedra apostolica di Roma, tu che eri già vescovo di Porto?».