giovedì 28 gennaio 2016

Il monaco in fondo, aveva ragione


Supponiamo che, in strada, si crei un grande scompiglio per, mettiamo, un lampione che molte persone influenti vorrebbero abbattere.

Un monaco di grigio vestito, che incarna lo spirito del Medioevo, viene interpellato sulla questione e comincia ad affermare, con il tono arido tipico dell'educatore: «Consideriamo innanzitutto, cari fratelli, il valore della Luce. Se la Luce sia di per sé un bene...». A quel punto, il monaco viene comprensibilmente messo al tappeto.

Tutti si avventano sul lampione, che in dieci minuti viene divelto, e si congratulano l'un l'altro per la loro praticità, tutt'altro che medievale. Ma a lungo andare, le cose si complicano. Alcuni hanno divelto il lampione perché volevano la luce elettrica; altri perché volevano il ferro vecchio; altri ancora perché volevano l'oscurità, dal momento che avevano commesso azioni malvagie. Alcuni pensavano che quel lampione fosse inadeguato, altri che fosse eccessivo; alcuni hanno agito perché volevano distruggere un bene comunale, altri perché volevano semplicemente distruggere qualcosa. Di notte si scatena la guerra, tutti sferrano colpi alla cieca.

Così, gradualmente e inevitabilmente, oggi, domani o il giorno dopo, riaffiora la convinzione che il monaco in fondo avesse ragione e che tutto dipenda dalla filosofia della Luce.

Ma quello che avremmo potuto discutere alla luce del lampione, dobbiamo ora discuterlo nell'oscurità.

(Gilbert K. Chesterton, Eretici)

giovedì 21 gennaio 2016

Un'infinita nostalgia


Un uomo scendeva ogni giorno nelle viscere della terra a scavare sale. Portava con sé il piccone e una lampada. Una sera, mentre tornava verso la superficie, in una galleria tortuosa e scomoda, la lampada gli cadde di mano e si infranse sul suolo.

A tutta prima, il minatore ne fu quasi contento: “Finalmente! Non ne potevo più di questa lampada. Dovevo portarla sempre con me, fare attenzione a dove la mettevo, pensare a lei anche durante il lavoro. Adesso ho un ingombro di meno. Mi sento molto più libero! E poi... faccio questa strada da anni, non posso certo perdermi!”

Ma la strada ben presto lo tradì. Al buio era tutta un'altra cosa. Fece alcuni passi, ma urtò contro una parete. Si meravigliò: non era quella la galleria giusta? Come aveva fatto a sbagliarsi così presto? tentò di tornare indietro, ma finì sulla riva del laghetto che raccoglieva le acque di scolo.

“Non è molto profondo”, pensò, “ma se ci finisco dentro, cosi al buio, annegherò di certo”. Si gettò a terra e cominciò a camminare carponi. Si ferì le mani e le ginocchia. Gli vennero le lacrime agli occhi quando si accorse che in realtà era riuscito a fare solo pochi metri e si ritrovava sempre al punto di partenza.

E gli venne un'infinita nostalgia della sua lampada.

Attese umiliato che qualcuno scendesse per venire a cercarlo e lo portasse su facendogli strada con qualche mozzicone di candela.


“Lampada sui miei passi è la tua parola, Signore, luce sul mio cammino. Chi scopre la tua parola entra nella luce, anche i semplici la capiscono” (Salmo 119).

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venerdì 15 gennaio 2016

La fine di tutte le cose


Ora Kant prende in considerazione la possibilità che, accanto alla fine naturale di tutte le cose, se ne verifichi anche una contro natura, perversa.

Scrive al riguardo: “Se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non essere più degno di amore (…) allora il pensiero dominante degli uomini dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un’opposizione contro di esso; e l’anticristo (…) inaugurerebbe il suo, pur breve, regime (fondato presumibilmente sulla paura e sull’egoismo). In seguito, però, poiché il cristianesimo, pur essendo stato destinato ad essere la religione universale, di fatto non sarebbe stato aiutato dal destino a diventarlo, potrebbe verificarsi, sotto l’aspetto morale, la fine (perversa) di tutte le cose”.

I. Kant, Das Ende aller Dinge, in: Werke VI, a cura di W. Weischedel (1964), 190.

In Spe Salvi 19 – Benedetto XVI

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domenica 10 gennaio 2016

La sete


«Quando si scoprono nella storia le migliaia di monasteri che ricoprivano il mondo cristiano come di un “bianco mantello”, non ci si può trattenere dal porsi una domanda: cos’è che ha potuto motivare milioni di giovani, spesso brillanti e pieni di avvenire, a lasciare il mondo per rinchiudersi in una vita da monaci, povera e nascosta? San Benedetto ci dà la risposta nella sua Regola: è la sete. La sete di non essere nulla affinché Dio sia tutto.

In effetti, la Regola non domanda che una sola cosa al giovane che vuole essere monaco: se egli “cerca veramente Dio” (RB 58,7). I monaci hanno fatto l’Europa, ma non l’hanno fatta consapevolmente. La loro avventura è anzitutto, se non esclusivamente, un’avventura interiore, il cui unico movente è la sete. La sete d’assoluto. La sete di un altro mondo, di verità e di bellezza, che la liturgia alimenta, al punto da orientare lo sguardo verso le cose eterne; al punto da fare del monaco un uomo teso con tutto il suo essere verso la realtà che non passa.

Prima di essere delle accademie di scienza e dei crocevia della civiltà, i monasteri sono delle dita silenziose puntate verso il cielo, il richiamo ostinato, non negoziabile, che esiste un altro mondo, di cui questo non è che l’immagine, che lo annuncia e lo prefigura».

Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008)

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lunedì 4 gennaio 2016

La schiavitù del fare


«L’uomo ha ricusato il riposo di Dio, l’ozio davanti a lui, l’adorazione e la conseguente pace e libertà, ed è così caduto nella schiavitù del fare. Ha trascinato il mondo nella schiavitù del proprio attivismo e si è reso così schiavo.

Perciò Dio è stato costretto a imporgli il sabato, ch’egli non voleva più.

Con il rifiuto del ritmo della libertà e dell’ozio davanti a Dio l’uomo si è allontanato dalla propria somiglianza con lui e ha così calpestato il mondo.

Per questo doveva essere staccato con la forza dall’ottuso attaccamento alla propria opera: per questo Dio doveva riportarlo al suo senso più autentico e liberarlo dal dominio dell’azione. «Operi Dei nihil praeponatur»: prima l’adorazione, la libertà e la pace di Dio.

Solo così l’uomo può veramente vivere».

(Joseph Ratzinger)