venerdì 26 febbraio 2016

Accorto nel tacere, tempestivo nel parlare


Il pastore sia accorto nel tacere e tempestivo nel parlare, per non dire ciò ch’è doveroso tacere e non passare sotto silenzio ciò che deve essere svelato. Un discorso imprudente trascina nell’errore, così un silenzio inopportuno lascia in una condizione falsa coloro che potevano evitarla. Spesso i pastori malaccorti, per paura di perdere il favore degli uomini, non osano dire liberamente ciò ch’è giusto e, al dire di Cristo ch’è la verità, non attendono più alla custodia del gregge con amore di pastori, ma come mercenari. Fuggono all’arrivo del lupo, nascondendosi nel silenzio.

Il Signore li rimprovera per mezzo del Profeta, dicendo: «Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare» (Is 56, 10), e fa udire ancora il suo lamento: «Voi non siete saliti sulle brecce e non avete costruito alcun baluardo in difesa degli Israeliti, perché potessero resistere al combattimento nel giorno del Signore» (Ez 13, 5). Salire sulle brecce significa opporsi ai potenti di questo mondo con libertà di parola per la difesa del gregge. Resistere al combattimento nel giorno del Signore vuol dire far fronte, per amor di giustizia, alla guerra dei malvagi.

Cos’è infatti per un pastore la paura di dire la verità, se non un voltar le spalle al nemico con il suo silenzio? Se invece si batte per la difesa del gregge, costruisce contro i nemici un baluardo per la casa d’Israele. Per questo al popolo che ricadeva nuovamente nell’infedeltà fu detto: «I tuoi profeti hanno avuto per te visioni di cose vane e insulse, non hanno svelato le tue iniquità, per cambiare la tua sorte» (Lam 2, 14). Nella Sacra Scrittura col nome di profeti son chiamati talvolta quei maestri che, mentre fanno vedere la caducità delle cose presenti, manifestano quelle future.

La parola di Dio li rimprovera di vedere cose false, perché, per timore di riprendere le colpe, lusingano invano i colpevoli con le promesse di sicurezza, e non svelano l’iniquità dei peccatori, ai quali mai rivolgono una parola di riprensione.

Il rimprovero è una chiave. Apre infatti la coscienza a vedere la colpa, che spesso è ignorata anche da quello che l’ha commessa. Per questo Paolo dice: «Perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare coloro che contraddicono» (Tt 1, 9). E anche il profeta Malachia asserisce: «Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l’istruzione, perché egli è messaggero del Signore degli eserciti» (Ml 2, 7).

Per questo il Signore ammonisce per bocca di Isaia: «Grida a squarciagola, non aver riguardo; come una tromba alza la voce» (Is 58, 1).

Chiunque accede al sacerdozio si assume l’incarico di araldo, e avanza gridando prima dell’arrivo del giudice, che lo seguirà con aspetto terribile. Ma se il sacerdote non sa compiere il ministero della predicazione, egli, araldo muto qual’è, come farà sentire la sua voce? Per questo lo Spirito Santo si posò sui primi pastori sotto forma di lingue, e rese subito capaci di annunziarlo coloro che egli aveva riempito.

Dalla «Regola pastorale» di san Gregorio Magno, papa. (Lib. 2, 4 PL 77, 30-31)

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venerdì 19 febbraio 2016

Nel fiume del suo amore


Perché era necessario soffrire per salvare il mondo? Era necessario perché nel mondo esiste un oceano di male, di ingiustizia, di odio, di violenza, e le tante vittime dell'odio e dell'ingiustizia hanno il diritto che sia fatta giustizia. Dio non può ignorare questo grido dei sofferenti che sono oppressi dall'ingiustizia.

Perdonare non è ignorare, ma trasformare, cioè Dio deve entrare in questo mondo e opporre all'oceano dell'ingiustizia un oceano più grande del bene e dell'amore.

E questo è l'avvenimento della Croce: da quel momento, contro l'oceano del male, esiste un fiume infinito e perciò sempre più grande di tutte le ingiustizie del mondo, un fiume di bontà, di verità, di amore. Così Dio perdona trasformando il mondo ed entrando nel nostro mondo perché ci sia realmente una forza, un fiume di bene più grande di tutto il male che può mai esistere.

Così l'indirizzo a Dio «Hai redento il mondo, con la passione, con il soffrire del tuo Figlio», diventa un indirizzo a noi: cioè questo Dio ci invita a metterci dalla sua parte, ad uscire dall'oceano del male, dell'odio, della violenza, dell'egoismo e di identificarci, di entrare nel fiume del suo amore.

Benedetto XVI. Celebrazione dei vespri nella Cattedrale di Aosta, 24 luglio 2009.

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domenica 14 febbraio 2016

Il bisogno di giocare due ruoli


«Il Corano non è davvero altro che un sistema ardito di dominio e di invasione politica.
Ovunque in Maometto si scopre l’uomo ambizioso, il vile adulatore di tutte le passioni più care al cuore degli uomini. Come carezza la carne, che spazio riserva alla sensualità.
Vuole portare l’Arabo verso la verità di Dio, oppure verso la seduzione di tutte le gioie permesse in questa vita e promesse come speranza e ricompensa nell’altra?

Bisognava conquistare un popolo, l’appello alle passioni era, dunque, necessario. Inoltre, si rivolge a una sola nazione e ha sentito il bisogno di giocare due ruoli, il ruolo politico e quello religioso.

Egli ha effettivamente conquistato e posseduto tutta la potenza del primo. Quanto al secondo, se ne ha avuto il prestigio non ne ha avuto la sostanza. Una o due volte vuole misurarsi con un miracolo e fallisce miseramente. Maometto spinse i suoi discepoli alla conquista del mondo con la sciabola».

Napoleone Bonaparte – Conversazioni Religiose a Sant'Elena – Editori Riuniti

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lunedì 8 febbraio 2016

Avanza la pretesa


«In un mondo che si va facendo sempre più “piccolo”, la questione dell'incontro tra le religioni e le culture è divenuto un tema urgente, che riguarda non solo la teologia. Il problema della compatibilità delle culture e della pace tra le religioni è diventato anche un tema politico di prim'ordine.

Ma sono innanzitutto le religioni che si devono chiedere se esse siano in pace l'una con l'altra e se siano in grado di offrire il loro contributo “all'educazione alla pace del genere umano”. La fede cristiana è particolarmente interessata da questa problematica, perché, in ragione della sua origine e della sua natura, avanza la pretesa di conoscere e annunciare l'unico vero Dio e l'unico Salvatore di tutti gli uomini...

Anzitutto si dovrebbe cercare di comprendere che cosa sia la cultura e come le culture possano porsi l'una rispetto all'altra. Si dovrebbe poi prendere in considerazione il fenomeno religioso come tale, evitando di partire da una massa indistinta di “religioni”.
Prima di formulare giudizi si dovrebbe ancora cercare di comprendere le religioni in se stesse, nel loro sviluppo storico, nelle loro strutture e tipologie essenziali, nella loro possibile solidarietà così come nella loro incombente ostilità.
Andrebbe inoltre posta la questione di fondo dell'uomo, di che cosa egli sia, di come possa divenire se stesso o invece perdersi.

E da ultimo sarebbe indispensabile cimentarsi con l'interrogativo se l'uomo sia creato per la verità e in qual modo possa, e debba, porsi il problema della verità...».

Joseph Ratzinger. Dalla Premessa a “Fede, Verità, Tolleranza” Il Cristianesimo e le Religioni del mondo.


martedì 2 febbraio 2016

Al modo delle colombe e non dei corvi


“Se volete conservare la carità, fratelli, innanzitutto non pensate che essa sia avvilente e noiosa; non pensate che essa si conservi in forza di una certa mansuetudine, anzi di remissività e di negligenza. Non così essa si conserva. 

Non credere allora di amare il tuo servo, per il fatto che non lo percuoti; oppure che ami tuo figlio, per il fatto che non lo castighi; o che ami il tuo vicino allorquando non lo rimproveri; questa non è carità, ma trascuratezza. 

Sia fervida la carità nel correggere, nell’emendare; se i costumi sono buoni, questo ti rallegri; se sono cattivi siano emendati, siano corretti.
Non voler amare l’errore nell’uomo, ma l’uomo; Dio infatti fece l’uomo, l’uomo invece fece l’errore. 
Ama ciò che fece Dio, non amare ciò che fece l’uomo stesso […] 
Anche se qualche volta ti mostri crudele, ciò avvenga per il desiderio di correggere. 

Ecco perché la carità è simboleggiata dalla colomba che venne sopra il Signore. Quella figura cioè di colomba, con cui venne lo Spirito Santo per infondere la carità in noi. Perché questo? Una colomba non ha fiele: tuttavia in difesa del nido combatte col becco e con le penne, colpisce senza amarezza. 
Anche un padre fa questo; quando castiga il figlio, lo castiga per correggerlo… ma è senza fiele. 
Tali siate anche voi verso tutti… Chi è quel padre che non dà castighi? E tuttavia sembra che egli infierisca. 

L’amore infierisce, la carità infierisce: ma infierisce, in certo qual modo, senza veleno, al modo delle colombe e non dei corvi”. 

(Sant’Agostino, commento alla prima lettera di Giovanni)