martedì 25 novembre 2014

Una sorta di allegria


«Tutti conoscono la Chevrolet, l'auto con maggior vendita del gruppo General Motors, uno dei più grandi produttori di autoveicoli del mondo. Il marchio della Chevrolet è una croce, con il braccio orizzontale più lungo. Pare certo che quello stemma derivi dalla croce della bandiera svizzera, in cui era nato il fondatore, Louis Chevrolet. Ma, per una sorta di rispetto umano, l'azienda da molto tempo nega che questa sia l'origine e afferma che è il disegno stilizzato di un papillon, di un farfallino, cioè ciò che si portava e talvolta oggi si porta come alternativa alla cravatta.

Ma è una spiegazione che non convince il mondo musulmano, a tal punto che nei Paesi islamici è partito un boicottaggio: si consiglia ai credenti nel Corano di non girare con un auto con la croce sul cofano se non si vuole incorrere in grossi guai. La Chevrolet, danneggiata fortemente nelle vendite, ha reagito denunciando un equivoco, rilanciando alla grande la faccenda del farfallino. Non si esclude che decida di cambiare marchio, dopo averlo utilizzato per oltre un secolo.

Sono cose, queste, che indignano alcuni. A me, invece, danno una sorta di allegria. L'allegria di riscoprire ogni volta quanto sia bello essere cristiani, con la libertà che ne deriva. La libertà di mangiare e bere tutto ciò che mi aggrada, a cominciare da un panino col salame accompagnandolo con un bicchier di vino; la libertà di non dovere digiunare a comando per un mese intero (rimpinzandomi però – vertice del formalismo – al calar del sole); la libertà di non dover battere la fronte a terra cinque volte al giorno per salmeggiare preghiere in una lingua antica e ormai incomprensibile alla stragrande maggioranza dei devoti; la libertà di non affrontare un lungo pellegrinaggio nel deserto come condizione per la salvezza; la libertà di fare elemosina a chiunque sia bisognoso, senza chiedermi se sia o no musulmano egli pure.

E la libertà, infine, di comprarmi l'auto che mi pare, anche se, per caso, avesse sul cofano la mezzaluna islamica».

Di Vittorio Messori. Il Timone – Aprile 2014

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mercoledì 19 novembre 2014

La cultura del piagnisteo


«Quando l’antielitarismo degli anni Sessanta ha preso piede nella scuola americana si è portato dietro una sconfinata, cinica indulgenza verso l’ignoranza degli studenti, razionalizzata come riguardo per “l’espressione personale” e “l’autostima”.

Per “non stressare” i ragazzi con troppe letture e troppi sforzi cerebrali (cosa che, al contatto con richieste di livello universitario, poteva far crollare le loro fragili personalità), le scuole hanno ridotto la quantità delle letture, riducendo così, automaticamente, anche la loro padronanza della lingua.

Non esercitati all’analisi logica, male attrezzati per sviluppare e capire un’argomentazione, non avvezzi a consultare testi per documentarsi, gli studenti hanno ripiegato sulla sola posizione che potevano rivendicare come propria: le loro sensazioni su questo o su quello.

Quando gli stati d’animo sono i principali referenti di un’argomentazione, attaccare una tesi diventa automaticamente un insulto a chi la sostiene, o addirittura un attentato ai suoi “diritti” o supposti tali; ogni argomentum diventa ad hominem e rasenta la molestia, se non la violenza vera e propria. “Mi sento molto minacciato dal tuo rifiuto delle mie opinioni su [barrare una casella]: il fallocentrismo / la Dea Madre / il Congresso di Vienna / il Modulo di Young”.

Provate a tramandare questa soggettivizzazione del discorso per due o tre generazioni di studenti che poi diventano insegnanti, con progressivo accumulo di diossine sessantottesche, e avrete il background entropico della nostra cultura del piagnisteo».

Robert Hughes, La cultura del piagnisteo (La saga del politicamente corretto), Adelphi.

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mercoledì 12 novembre 2014

Qui accade Qualcosa


«La liturgia non è uno show, uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di attori di talento. La liturgia non vive di sorprese “simpatiche”, di trovate “accattivanti”, ma di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l’attualità e il suo effimero ma il mistero del Sacro.

Molti hanno pensato e detto che la liturgia debba essere “fatta” da tutta la comunità, per essere davvero sua. È una visione che ha condotto a misurarne il “successo” in termini di efficacia spettacolare, di intrattenimento. In questo modo è andato però disperso il proprium liturgico che non deriva da ciò che noi facciamo, ma dal fatto che qui accade Qualcosa che noi tutti insieme non possiamo proprio fare.

Nella liturgia opera una forza, un potere che nemmeno la Chiesa tutta intera può conferirsi: ciò che vi si manifesta è lo assolutamente Altro che, attraverso la comunità (che non ne è dunque padrona ma serva, mero strumento) giunge sino a noi».

Per il cattolico, la liturgia è la Patria comune, è la fonte stessa della sua identità: anche per questo deve essere “predeterminata”, “imperturbabile”, perché attraverso il rito si manifesta la Santità di Dio.

Invece, la rivolta contro quella che è stata chiamata “la vecchia rigidità rubricistica”, accusata di togliere “creatività”, ha coinvolto anche la liturgia nel vortice del “fai-da-te”, banalizzandola perché l’ha resa conforme alla nostra mediocre misura».

Vittorio Messori: Rapporto sulla fede. Intervista al Card. Ratzinger. Capitolo Nono - Liturgia tra antico e nuovo. (1984)

venerdì 7 novembre 2014

La rinnovazione del sacrificio di Cristo


«La liturgia, per alcuni sembra ridursi alla sola eucaristia, vista quasi sotto l’unico aspetto del “banchetto fraterno”. Ma la messa non è solamente un pasto tra amici, riuniti per commemorare l’ultima cena del Signore mediante la condivisione del pane.

La messa è il sacrificio comune della Chiesa, nel quale il Signore prega con noi e per noi e a noi si partecipa. È la rinnovazione sacramentale del sacrificio di Cristo: dunque, la sua efficacia salvifica si estende a tutti gli uomini, presenti e assenti, vivi e morti. Dobbiamo riprendere coscienza che l’eucaristia non è priva di valore se non si riceve la Comunione: in questa consapevolezza, problemi drammaticamente urgenti come l’ammissione al sacramento dei divorziati risposati possono perdere molto del loro peso opprimente.

Se l’eucaristia è vissuta solo come il banchetto di una comunità di amici, chi è escluso dalla ricezione dei Sacri Doni è davvero tagliato fuori dalla fraternità. Ma se si torna alla visione completa della messa (pasto fraterno e insieme sacrificio del Signore, che ha forza ed efficacia in sé, per chi vi si unisce nella fede), allora anche chi non mangia quel pane partecipa egualmente, nella sua misura, dei doni offerti a tutti gli altri».

Vittorio Messori: Rapporto sulla fede. Intervista al Card. Ratzinger. Capitolo Nono - Liturgia tra antico e nuovo. (1984)

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sabato 1 novembre 2014

Perchè dovrebbero?


«Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa?
Perché dovrebbero amare le sue leggi?
Essa ricorda loro la Vita e la Morte,
e tutto ciò che vorrebbero scordare.

È gentile dove sarebbero duri,
e dura dove essi vorrebbero essere teneri.

Ricorda loro il Male e il Peccato e altri fatti spiacevoli...
Essi cercano sempre d'evadere
Dal buio esterno e interiore
Sognando sistemi talmente perfetti
che più nessuno avrebbe bisogno d'essere buono».

(Thomas Stearns Eliot)

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