martedì 13 gennaio 2015

Il tempo di Dio è il presente



«Mio caro Malacoda,

[...] gli esseri umani vivono nel tempo, ma il nostro Nemico (Dio ndr.) li destina all'eternità. Perciò, credo, Egli desidera che essi si occupino principalmente di due cose: dell'eternità stessa e di quel punto del tempo che essi chiamano il Presente.

Il Presente è infatti il punto nel quale il tempo tocca l'eternità.

Del momento presente, e soltanto di esso, gli esseri umani hanno un'esperienza analoga all'esperienza che il nostro Nemico ha della realtà intera; soltanto in esso vien loro offerta la libertà e la realtà. Egli vorrebbe perciò che essi fossero continuamente occupati o con l'eternità (il che vuol dire essere occupati di Lui) o con il Presente, o che meditino sulla loro eterna unione con Lui, o sulla separazione da Lui, oppure che obbediscano alla voce presente della coscienza, portando la croce presente, ricevendo la grazia presente, offrendo azioni di grazie per il piacere presente.

Il nostro lavoro è di allontanarli sia dall'eterno sia dal presente.

A questo fine talvolta tentiamo un essere umano (una vedova, ad esempio, o uno studioso) a vivere nel Passato. Ma ciò vale soltanto limitatamente, poiché essi hanno una conoscenza determinata del passato ed il passato ha una natura determinata, e, sotto questo aspetto, assomiglia all'eternità.

È molto meglio farli vivere nel Futuro.

Le necessità biologiche dirigono già tutte le loro passioni verso di esso, cosicché il pensiero del futuro infiamma la speranza e il timore. Inoltre esso è sconosciuto, e quindi, facendoli pensare ad esso li facciamo pensare a cose irreali.

Insomma il Futuro è, fra tutte le cose, la cosa “meno simile” all'eternità. È la parte più compiutamente temporale del tempo, poiché il Passato è ghiacciato e non scorre più, e il Presente è tutto illuminato dai raggi dell'eternità. Donde l'incoraggiamento che noi abbiamo dato a tutti quegli schemi di pensiero come l'Evoluzione Creatrice, l'Umanesimo Scientifico, o il Comunismo, che fissano l'affetto dell'uomo nel Futuro, nel centro stesso della temporalità.

Quasi tutti i vizi son radicati nel futuro. La gratitudine guarda al passato e l'amore al presente; il timore, l'avarizia, la lussuria e l'ambizione guardano avanti.

Non pensare che la lussuria sia un'eccezione. Quando il piacere presente arriva, il peccato (che è la sola cosa che c'interessa) è già finito. Il piacere è appunto la parte del processo che ci dispiace e che escluderemmo, se lo potessimo, senza perdere il peccato; è la parte che vien offerta dal Nemico, e quindi sperimentata nel Presente. Il peccato, che rappresenta il nostro contributo, guarda avanti.

Si sa, anche il Nemico vuole che gli uomini pensino al Futuro, ma solo quel tanto che è necessario per stabilire ORA i piani per gli atti di giustizia e di carità che forse saranno il loro dovere domani. Il dovere di stabilire i piani del lavoro di domani è un dovere DI OGGI; benché il suo materiale sia preso a prestito dal futuro, il dovere, come ogni dovere, è nel Presente.

Egli non vuole che gli uomini diano il loro cuore al Futuro, che ripongano in esso il loro tesoro.

Noi sì.

Il Suo ideale è un uomo che, avendo lavorato tutto il giorno per il bene della posterità (se tale è la sua vocazione), si libera la mente da ogni pensiero, di quel lavoro, lascia le conseguenze al Cielo, e ritorna senza indugio alla pazienza e alla gratitudine che il momento che passa su di lui gli richiede.

Noi invece vogliamo un uomo che sia stregato dal Futuro – invasato da visioni di un cielo o di un inferno imminenti sulla terra – pronto a rompere i comandi del Nemico nel presente, se, così facendo, lo facciamo pensare che sarà in grado di raggiungere il primo o di schivare il secondo – dipendente per la sua fede dal successo o dal fallimento di schemi dei quali non vivrà fino a vedere la fine.

Noi vogliamo tutta una razza non mai onesta, non mai gentile, né felice ORA, ma che usi continuamente come pura esca da collocare sull'altare del futuro ogni vero dono che le viene offerto nel Presente.

Ne segue, adunque, in generale, e a parità d'ogni altra cosa, che è meglio per il tuo paziente esser pieno di ansietà e di speranza (non importa quale) che non vivere nel presente. […].

Tuo affezionatissimo zio».

Clive Staples Lewis - “Le Lettere di Berlicche”, 1942.

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