venerdì 12 settembre 2014

Se ti amo



«Se ti amo, o mio Tesoro, non è per il Cielo che mi hai promesso.

Se temo di offenderti, non è per l’inferno di cui sono minacciato.

Quel che mi attira a te, sei tu, tu solo: è vederti inchiodato sulla croce, col corpo straziato, in agonia di morte.

E il tuo amore si è talmente impadronito del mio cuore che anche se il Paradiso non esistesse, ti amerei lo stesso; se non esistesse l’inferno ti temerei ugualmente.

Tu nulla hai da promettermi, nulla da darmi per provocare il mio amore: quand’anche non sperassi quel che spero, ti amerei come ti amo».

(Santa Teresa d'Avila)

sabato 6 settembre 2014

Due città, due amori



Il genere umano, dopo che “per l'invidia di Lucifero” si ribellò sventuratamente a Dio creatore e largitore de' doni soprannaturali, si divise come in due campi diversi e nemici tra loro; l'uno dei quali combatte senza posa per il trionfo della verità e del bene, l'altro per il trionfo del male e dell'errore.

Il primo è il regno di Dio sulla terra, cioè la vera Chiesa di Gesù Cristo; e chi vuole appartenervi con sincero affetto e come conviene a salute, deve servire con tutta la mente e con tutto il cuore a Dio e all'Unigenito Figlio di Lui.

Il secondo è il regno di Satana, e sudditi ne sono quanti, seguendo i funesti esempi del loro capo e dei comuni progenitori, ricusano di obbedire all'eterna e divina legge, e molte cose imprendono senza curarsi di Dio, molte contro Dio.

Questi due regni, simili a due città che con leggi opposte vanno ad opposti fini, con grande acume di mente vide e descrisse Agostino, e risali al principio generatore di entrambi con queste brevi e profonde parole: “Due città nacquero da due amori; la terrena dall'amore di sé fino al disprezzo di Dio, la celeste dall'amore di Dio fino al disprezzo di sé” (De Civit. Dei, lib. XIV, c. 17).

In tutta la lunga serie dei secoli queste due città pugnarono l'una contro l'altra con armi e combattimenti vari, benché non sempre con l'ardore e l'impeto stesso.

Ma ai tempi nostri i partigiani della città malvagia, ispirati e aiutati da quella società, che largamente diffusa e fortemente congegnata prende il nome di Società Massonica, pare che tutti cospirino insieme, e tentino le ultime prove. Imperocché senza più dissimulare i loro disegni, insorgono con estrema audacia contro la sovranità di Dio; lavorano pubblicamente e a viso aperto a rovina della Santa Chiesa, con proponimento di spogliare affatto, se fosse possibile, i popoli cristiani dei benefizi recati al mondo da Gesù Cristo nostro Salvatore.

(Papa Leone XIII, 20 Aprile 1884 – Humanum Genus)

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lunedì 1 settembre 2014

Ciò che è umano



Purtroppo, però, questo nostro mondo contemporaneo mostra molteplici ed acuti segni di quella che bene è stata definita la sua “ambivalenza”: segni di progresso magnifico, senza precedenti, in ogni settore delle scienze e delle attività umane; ma pure segni di “involuzione”, di progresso ingannevole, perché relativo a valori ed obiettivi fallaci, che come tali si rivelano alla lunga disumani e disumanizzanti l’umanità.

Quello che più preoccupa, però, è che, nella crescente e per sé benefica diffusione della cultura, nella cosiddetta “cultura di massa”, propugnata appunto dai mass-media, si fa sempre più un unico fascio di verità provate e di opinioni discutibili, di valori universali e di interessi particolari egoisticamente individualistici, di autentici principi deontologici e di fatti persino patologici. E tutto ciò sotto l’etichetta del “moderno” (anche se si tratta di errori e mali antichissimi), dietro il paravento del dovere-diritto all’informazione, e nel nome di un non bene inteso “pluralismo” che sarebbe proprio della cultura.

Molto saggiamente i fondatori del vostro Periodico hanno preferito a questo termine, già allora di moda in molti Paesi, il termine classico di “civiltà”. Anche la migliore antropologia culturale distingue tra “culture”, che possono essere “barbare”, e “civiltà”, che possono essere “primitive”, ma non barbare.

Barbaro in realtà è ciò che è disumano, anche se “evoluto”; civile ciò che è umano, anche se semplice e primitivo. Vi sono “pseudoculture”, denunciate dalla “maior saniorque pars” degli intellettuali; non vi sono al contrario “pseudociviltà”, ma solo “involuzioni” e “declini” di civiltà particolari, registrate dalla storia.


(San Giovanni Paolo II – Discorso al Collegio degli scrittori de “La Civiltà Cattolica” del 5 aprile 1982, par. 3)

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lunedì 30 giugno 2014

Bisogna salvare il seme



«Don Camillo spalancò le braccia [rivolto al crocifisso]: “Signore, cos’è questo vento di pazzia? Non è forse che il cerchio sta per chiudersi e il mondo corre verso la sua rapida autodistruzione?”.

“Don Camillo, perché tanto pessimismo? Al­lora il mio sacrificio sarebbe stato inutile? La mia missione fra gli uomini sarebbe dunque fallita perché la malvagità degli uomini è più forte della bontà di Dio?”.

“No, Signore. Io intendevo soltanto dire che oggi la gente crede soltanto in ciò che vede e tocca. Ma esistono cose essenziali che non si vedono e non si toccano: amore, bontà, pietà, onestà, pu­dore, speranza. E fede. Cose senza le quali non si può vivere. Questa è l’autodistruzione di cui par­lavo. L’uomo, mi pare, sta distruggendo tutto il suo patrimonio spirituale. L’unica vera ricchezza che in migliaia di secoli aveva accumulato. Un giorno non lontano si troverà come il bruto delle caverne. Le caverne saranno alti grattacieli pieni di macchine meravigliose, ma lo spirito dell’uomo sarà quello del bruto delle caverne […] Signore, se è questo ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?”.

Il Cristo sorrise: “Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede e mantenerla in­tatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più, ogni giorno nuove anime inaridiscono perché abbandonate dalla fede. Ogni giorno di più uomi­ni di molte parole e di nessuna fede distruggono il patrimonio spirituale e la fede degli altri. Uomini di ogni razza, di ogni estrazione, d’ogni cultura”.»


Giovannino Guareschi, Don Camillo e don Chichì, in Tutto Don Camillo. Mondo piccolo, II, BUR, Milano, 2008, pp. 3114-3115

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